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Party individuali, un lockdown da alcol test

Una fitta sequenza di feste ad alta gradazione ma a basso assembramento. Potremmo definire così il consumo domestico di vino, birra e distillati durante il lockdown. Un altro modo di leggere i carrelli della spesa è invece quello di affidarsi a chi – letteralmente – ha dato i numeri. Una versione non solo poco romantica ma, senza dubbio, del tutto casuale.
Tanto per riderci su – mentre versiamo lacrime amare -  riproponiamo i dati che i vari enti, dall’Istituto superiore di Sanità all’INAIL, hanno tirato fuori durante il trimestre di pandemia.
“Nei mesi di marzo e aprile la vendita di bevande alcoliche è aumentata del 180%” denuncia l’ISS. E ancora, “Bar e pub hanno perso il 30% del fatturato tra il 22 e il 29 marzo” ha tenuto a ricordare l’INAIL riferendosi però, vogliamo sottolineare, a una delle settimane di lockdown della FASE1 senza quindi la possibilità di asporto. Un periodo in cui i fatturati del settore non si sono discostati dallo zero.  
Poi c’è il mondo reale. Quello delle aziende produttrici che parlano di un crollo del fatturato. La brusca frenata di bar e ristoranti – chiusi l’8 marzo e che riprenderanno a pieno ritmo chissà quando -  le difficoltà con le esportazioni e i mercati internazionali – dal valore di oltre 220 milioni di euro - per non parlare della concomitanza dell’impatto arrivato in autunno con i dazi USA le cui prime ripercussioni si sono palesate proprio in primavera, hanno fatto registrate al settore un -60%.
Per i produttori di liquori e superalcolici –  di cui il 75% delle imprese è interamente a capitale familiare -  si aggiunge oltre al danno la beffa. La pandemia, divenuta presto emergenza economica ma per definizione una crisi sanitaria, ha fatto sì che l’alcol diventasse ben presto un bene costoso. Detergenti, disinfettanti, sanitizzanti: la realizzazione di ogni tipo di solvente predisposto a igienizzare ambienti e superfici per la salute individuale e pubblica ha fatto salire vertiginosamente il prezzo dell’alcol. Rincari fino all’80%.
Alcol introvabile o venduto a prezzi “scandalosi” che potrebbero ispirare un moderno proibizionismo, dove il proibito rischia di riferirsi ai costi (di certo produttivi). Si è di fatto generata una bolla speculativa sui prodotti igienizzanti in generale, ma il meccanismo che ha coinvolto – per non dire travolto - l’alcol è quasi perverso: la materia prima dell’alcol è generalmente il frutto di una produzione agricolo: uve, frutta, cereali, patate che vengono dati dagli agricoltori alle aziende di trasformazione a prezzi onesti.
In questi giorni è poi tornata di moda la sempre verde proposta di utilizzare il vino invenduto per il processo di distillazione dei prodotti alcolici ma – e sta qui la novità – i derivati andrebbero destinati al solo uso sanitario.  Purchè si corrisponda però – aggiungiamo noi di Confimi Alimentare – un prezzo equo ai produttori, perché il vino, di certo, non è uno scarto.
Magra consolazione arriva dal Decreto Rilancio. L’introduzione della cosiddetta Sugar Tax  - l’imposta pensata per limitare, attraverso la penalizzazione fiscale, il consumo di bevande che hanno un elevato contenuto di sostanze edulcoranti aggiunte – slitta al 2021. Un balzello economico solo apparentemente lontano dal mondo della produzione di bevande alcoliche ma che riguarda in realtà tutta la produzione di sciroppi e loro derivati, per tradizione tutta italiana, prodotti dagli stessi liquorifici: se il mercato vedrà introdotta l’imposta di 10 euro per ettolitro, per i prodotti finiti, saranno 0,25 euro al kg i costi aggiuntivi per i prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione. Rimbocchiamoci le maniche allora. Previa dissoluzione.     Pietro Marcato Presidente Nazionale Confimi Industria Alimentare 
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