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Burger vegani, il Parlamento europeo salva i sostituti della carne

Il Parlamento europeo ha salvato i burger vegani e ha respinto tutti e quattro gli emendamenti relativi al divieto di chiamare i prodotti vegetali sostitutivi della carne con nomi quali burger, salsicce, salame, carpaccio e mortadella che, con diverse sfumature e approcci più o meno drastici, puntavano a modificare profondamente la vendita dei surrogati vegetali. I produttori dovranno indicare chiaramente che l’alimento non contiene carne, ma nulla di più.

Si conclude così, almeno per il momento, la guerra ai burger vegani dichiarata dai produttori di carne, rappresentati da Copa-Cogeca (unione delle associazioni europee di agricoltori e allevatori) e sostenuti da diversi gruppi parlamentari europei, anche attraverso la campagna mediatica Ceci n’est pas une steak. Se gli emendamenti fossero stati approvati, avrebbero costretto i produttori delle cosiddette fake meat e dei surrogati vegetali, a trovare denominazioni fantasiose per le loro proposte. I quali, probabilmente, non avrebbero scoraggiato la quantità crescente di consumatori che cercano alternative vegetali alla carne, e non avrebbero rallentato la crescita di un mercato che sta conoscendo un momento d’oro.

Ha vinto, insieme a quella dei produttori, anche la linea di alcune associazioni ambientaliste, come Greenpeace, secondo cui le fake meat rispondono agli obiettivi green che la stessa Europa si è data, tra i quali vi è la promozione di un minor consumo di carne e uno maggiore di prodotti a base vegetale. Anche i consumatori, avevano sottolineato le stesse obiezioni nelle ultime settimane: sono in grado di capire la natura di un alimento a base vegetale e nessuno può confondere prodotto chiamati burger vegani con uno di carne, mentre, al contrario, trovare nomi come “dischi vegetali” avrebbe, questo sì, confuso le idee.

Naturalmente dietro le motivazioni teoriche, lo scontro è di tipo economico e tuttora non privo di contraddizioni. Da una parte i produttori di carne, filiera in crisi, cercano di proteggere la loro fetta di mercato e si appellano anche a una sentenza della Corte Europea di Giustizia del 2019 in cui si stabiliva che un prodotto a base vegetale non può avere una denominazione attribuita di solito ai prodotti con proteine animali. Dall’altra le aziende che hanno dato vita al nuovo mercato dal valore di 4,6 miliardi di dollari, e quelle che via via, sempre più numerose, si stanno aggiungendo, stanno cercando di non compromettere la fase espansiva, e sono ormai sostenute anche da alcuni big del settore. Dopo i fondatori Beyond Meat e Impossible Meat, e dopo Nestlè, Kellog’s, Findus e Unilver, infatti, anche le catene del fast food come McDonald’s (ma non in Italia) e Burger Kings si sono buttate a capofitto sui prodotti vegan, che in quattro anni dovrebbero alimentare un mercato ancora più grande, da 6 miliardi di dollari. E hanno quindi interesse a proteggere il settore. 

Ulteriore stretta, invece, per la normativa sui sostituti di latte e derivati, che devono avere una denominazione diversa da quella dei prodotti tradizionali e che ora non possono usare nemmeno termini come “sostituto dello yogurt” o “imitazione di formaggio”. Sul suo sito, Greenpeace ha commentato: “sempre più persone mangiano più prodotti di origine vegetale e passano ad alternative di carne e latticini, per la loro salute e per l’ambiente, e continueranno a chiamare i surrogati dei latticini “yogurt” e “formaggio” in ogni caso”.

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