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Filiera agroalimentare, i conti tornano?

C’è un problema di distribuzione della ricchezza all’interno della filiera agroalimentare? La domanda è sempre attuale e torna prepotentemente in auge alla luce dei rincari che hanno colpito il comparto, sempre più stretto nella morsa tra l’aumento delle materie prime e la tagliola delle quotazioni ad opera della grande distribuzione.

L’Italia, lo ricordiamo, è il 2° Paese in Europa per incidenza del settore agroalimentare sul Pil (3,8%), preceduto solo dalla Spagna (4,0%) e più alta di quella che si registra in Francia (3,0%) e Germania (2,1%). Con 64,1 miliardi di Euro di valore aggiunto generato nel 2020, il settore vale 1,9 volte l’automazione, 2,8 volte l’arredamento e 3,2 volte l’abbigliamento. Il Valore Aggiunto generato dal settore agroalimentare italiano vale 3 volte il settore automotive di Francia e Spagna e più del doppio della somma dell’aerospazio di Francia, Germania e Regno Unito. Notevole è stata la resilienza del comparto, basti pensare che il settore Food&Beverage si è dimostrato il più resiliente alla crisi Covid-19 tra tutti i settori della manifattura italiana, con una riduzione del Valore Aggiunto pari a -1,8% nel 2020, rispetto al -8,9% del totale dell’economia italiana.

Come emerge dal dossier (pre-crisi) della The European House – Ambrosetti ( “La creazione di valore lungo la filiera agroalimentare estesa in Italia”) c’è una diseguaglianza nella ripartizione degli utili all’interno della filiera agroalimentare. Nel dettaglio: per ogni 100 euro di consumi alimentari degli italiani, il 32,8% remunera i fornitori di logistica, packaging e utenze, il 31,6% il personale della filiera, il 19,9% le casse dello Stato, l’8,3% i fornitori di macchinari e immobili, l’1,2% le banche, l’1,1% le importazioni nette e solo il 5,1% gli operatori di tutta la filiera agroalimentare estesa.

I 5,1 euro di utile per ogni 100 euro di consumi alimentari, si ripartiscono nelle seguenti proporzioni: l’industria di trasformazione ottiene la quota maggiore, pari al 43,1%; il 19,6% va all’intermediazione (grossisti e intermediari in ambito di agricoltura, industria e commercio); il 17,7% all’agricoltura; l’11,8% alla distribuzione e il 7,8% alla ristorazione.

La quota maggiore degli utili dunque va all’industria, che, nel 2019, cresceva rispetto all’anno prima del +4,9%. Mentre il trend dei successivi 6 anni vedeva la quota di utile di filiera della distribuzione ridursi del 9,9%.

Questo è il quadro del comparto nel 2019, ultimo anno di riferimento pre-Covid. La filiera agroalimentare estesa era (e lo è ancora) il 1 ̊ settore economico del Paese generando (2 anni fa) un fatturato totale di 538,2 miliardi di Euro (pari alla somma del PIL di Norvegia e Danimarca), un Valore Aggiunto di 119,1 miliardi di Euro (4,3 volte le filiere estese automotive e arredo e 3,8 volte la filiera dell’abbigliamento estesa) e sostenendo 3,6 milioni di occupati (pari al 18% del totale degli occupati in Italia), con 2,1 milioni di imprese.

Proporzioni, queste, che con l’avvento del Covid avranno aumentato ancor di più le disuguaglianze all’interno della filiera agricola. Come invertire il trend? Basteranno i Contratti di Filiera, con l’ormai prossima apertura del V bando? Ai posteri, l’ardua INTERPRETAZIONE dei dati, sperando che non siano vere e proprie sentenze nei confronti dei produttori!

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