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L'ORTOFRUTTA VA MA AL PRODUTTORE RESTANO LE BRICIOLE

Negli ultimi cinque anni sono cresciuti i consumi di tutti i segmenti vegetali, a partire dai prodotti ortofrutticoli. Ma nella catena del valore rimane ben poco in tasca ai produttori agricoli. Spesso ci si chiede se l’ortofrutta stia approfittando e sfruttando il grande cambiamento che sta attraversando i consumi alimentari in Italia e che porta ad una domanda crescente di tutto ciò che possiamo inserire nei prodotti tutto “salute e benessere“. La risposta è no o , al massimo, un si ma potrebbe fare molto di più. Nell’ultimo Rapporto Ismea dedicato all’agroalimentare, si legge come, secondo le elaborazioni su dati Nielsen relative all’ultimo quinquennio, quindi 2013-2017, si sia verificato un  “incremento dei consumi per tutti i segmenti vegetali. In particolare, per i prodotti ortofrutticoli le dinamiche risentono di una crescita generale delle quotazioni, come suggerito dall’indice dei prezzi all’origine dell’Ismea aumentato dell’11% tra il 2013 e il 2017″.
Non solo:
l’ortofrutta è il segmento che prima di altri ha intercettato i cambiamenti della domanda relativi alla ricerca di prodotti salutistici e ad alto contenuto di servizio”. Da qui, ecco i tassi di crescita a due cifre, sia a valore che a volume, di acquisti per “piccoli frutti, frutta a guscio, ortaggi surgelati e tutto l’assortimento dell’ortofrutta pronta al consumo, partendo dalle insalate in busta, per arrivare alle zuppe pronte. Questo è stato possibile grazie alla capacità degli imprenditori del settore di rispondere alle esigenze dei consumatori, spesso anche orientandole, con una forte spinta all’innovazione”. Tutto bene, quindi, se non chè, poco più in là nel rapporto, osservando la distribuzione della catena del valore per i prodotti agricoli freschi, quindi “ortaggi, frutta e in generale dei prodotti agricoli destinati al consumo finale senza trasformazione” si osserva come per chi è a monte della filiera (ovvero i produttori) non ci siamo molto da sorridere. “Per 100 euro spesi dalle famiglie italiane nell’anno di riferimento…solo 22 euro sono rimasti come valore aggiunto ai produttori agricoli (al netto dei contributi e delle imposte); una volta sottratti gli importi destinati a coprire gli ammortamenti e i salari, il residuo per l’imprenditore agricolo è solo di 6 euro”. Solo 6 € su 100 ce la fanno dunque (ad entrare nelle tasche del produttore). Non un incentivo per chi volesse entrare nel settore; peggio va nei prodotti alimentari trasformati dove l’utile scende (per il produttore della materia prima) sotto i due euro. A guadagnarci chi si occupa di commercio e trasporto nel primo caso (utile 17 euro sui 100 spesi dalle famiglie, quasi tre volte più del produttore) o distribuzione e logistica nel secondo caso (utile 11 euro, più di cinque volte rispetto a chi produce).
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