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NUTRISCORE VS NUTRINFORM: L’ETICHETTA “A BATTERIA” ITALIANA BATTE QUELLA A SEMAFORO

Nutrinform, il sistema di etichetta “a batteria” dei prodotti alimentari proposto dall’Italia, risulta essere, con punteggi molto simili a quelli dell’etichetta attualmente in uso nel nostro Paese, una delle due modalità più apprezzate dal consumatore in relazione ai comportamenti e alle abitudini di acquisto. Nutrinform, infatti, risulta essere particolarmente apprezzato dai canadesi, con un indice di gradimento di 102, e dai russi (71); anche la tabella nutrizionale dell’attuale etichetta viene molto apprezzata, con un punteggio massimo di 110 in Canada e di 81 in Russia. Il Nutriscore, ovvero la cosiddetta etichetta “a semaforo”, è al contrario il sistema meno gradito, con indici negativi in tantissimi paesi (con picchi di -109 in Italia e -94 in Canada), ad esclusione della Germania e della Spagna, che mostrano un indice di gradimento, seppur basso, di 35 e 6.

È quanto è emerso dall’indagine “Le etichette fronte pacco in 7 Paesi: Nutriscore VS Nutrinform”, a cura dell’Osservatorio Waste Watcher International diretto dal professor Andrea Segrè, monitorata con IpsosUniversità di Bologna e campagna Spreco Zero.

 

NUTRISCORE VS NUTRINFORM: LA METODOLOGIA USATA E IL CAMPIONE PRESO IN ESAME

L’analisi ha preso in esame tre tipologie di etichette fronte pacco, ovvero quella attualmente in uso, basata sull’indicazione delle quantità dei valori nutrizionali, il sistema Nutrinform proposto dall’Italia, che indica l’apporto percentuale di grassi, zuccheri e sali rispetto all’assunzione quotidiana raccomandata, e l’etichetta Nutriscore in uso in Francia, che associa ad ogni alimento un colore che ne indica il grado di salubrità. L’indagine ha riguardato un campione rappresentativo di mille individui per ciascun paese oggetto del rapporto, ovvero Italia, Spagna, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Russia, ed è stata condotta seguendo il metodo CAWI (Computer Assisted Web Interviewing).

  • NUTRISCORE VS NUTRINFORM: L’ETICHETTA IN ITALIA E NEGLI ALTRI PAESI ESAMINATI

Il Nutrinform riscuote un consenso sensibilmente più ampio e trasversale rispetto al Nutriscore per ciascuno degli elementi presi in esame per valutare il giudizio dei consumatori dei Paesi oggetto dell’indagine, andando in particolar modo a rispondere in maniera più puntuale alle richieste dei cittadini in materia di chiarezza, semplicità, utilità, consapevolezza d’acquisto e completezza d’informazione. In Italia, in particolare, il Nutrinform ottiene ben 23 punti in più del Nutriscore dal punto di vista dell’utilità, 15 in termini di informatività, 13 per completezza e chiarezza e 12 per consapevolezza. La cosiddetta etichetta “a batteria” riscuote un successo maggiore, con indici di gradimento superiori all’etichetta “a semaforo”, anche in Spagna (+7 per chiarezza, +6 per informatività e utilità, +3 per chiarezza, +2 per facilità e consapevolezza), Germania (+6 per completezza, 2 per facilità, +1 per utilità, al pari della per informatività), Regno Unito (+19 per consapevolezza, +13 per informatività e completezza, +8 per utilità e facilità e +6 per chiarezza), Stati Uniti (+7 per completezza, +6 per informatività, consapevolezza, utilità e chiarezza, +4 per chiarezza), Canada (+18 informatività, +17 completezza e utilità, +14 consapevolezza e chiarezza, + 13 facilità) e Russia (+14 per utilità, +13 per completezza, +12 per consapevolezza, informatività, chiarezza e facilità).

  • NUTRISCORE VS NUTRINFORM: L’ETICHETTA E L’UTILIZZO DELLE INFORMAZIONI NUTRIZIONALI

La maggior parte dei consumatori di tutti i Paesi oggetto dell’indagine ha dichiarato di apprezzare le informazioni presenti nelle etichette fronte pacco. In media, il 36% delle persone che hanno risposto ha spiegato che gradirebbe maggiori informazioni relative alla qualità dei singoli ingredienti, mentre il 49% vorrebbe più informazioni sulla loro provenienza (addirittura il 58% in Italia e Germania). Un’altra informazione a cui i consumatori sembrano prestare particolare attenzione è quella relativa alle informazioni nutrizionali (53%) e alle informazioni sugli ingredienti che possono causare allergie (51%). Emerge in modo chiaro come il consumatore dichiari di voler ricevere più informazioni sul cibo che acquista, soprattutto se queste ultime sono legate agli “effetti” che i prodotti potrebbero avere sulla salute. Altrettanto interessante è poi notare quanto minore risulti essere l’attenzione alla sostenibilità e all’impatto che il cibo può avere sull’ambiente negli intervistati del Nord America e della Russia, che considerano in maniera più bassa il legame esistente tra gli alimenti e la propria salute, in netto contrasto con i trend dei paesi UE.

  • NUTRISCORE VS NUTRINFORM: L’ETICHETTA E LE ABITUDINI DI ACQUISTO

Un altro risultato molto interessante è quello che evidenzia come i valori e le informazioni delle etichette nutrizionali possono andare a influenzare significativamente le scelte del consumatore. In media, il 75% dei rispondenti dichiara di utilizzare l’etichetta nel processo decisionale e di acquisto; questa percentuale cresce in Italia, arrivando fino al 78%, e in Spagna (77%), mentre è più contenuta negli Stati Uniti e in Russia, dove comunque non scende sotto il 70%. Questi risultano dimostrano quanto il consumatore si dichiari molto attento nelle scelte di acquisto e come, soprattutto, queste ultime siano fortemente condizionate da quanto riportato sull’etichetta. Ciò fa presupporre che il consumatore acquisisca informazioni su ciò che compra in misura maggiore nel momento dell’acquisto e, visto il tempo contingentato che solitamente si dedica a tale attività, risulta quindi fondamentale che le informazioni veicolate attraverso le etichette siano chiare, leggibili, non fuorvianti e immediatamente comprensibili.

  • NUTRISCORE VS NUTRINFORM: ALCUNI DEI RISCHI DELL’ETICHETTA A SEMAFORO

Anche se la maggioranza dei rispondenti ha dichiarato espressamente di non farsi influenzare particolarmente dai colori usati nell’etichetta Nutriscore, rimane comunque una buona percentuale, pari al 40% circa della media, che cambierebbe le proprie abitudini alimentari in ragione dei colori apposti sulle etichette, arrivando addirittura a ridurre i consumi di olio EVO, qualora venisse loro detto che a quest’ultimo corrisponde il colore giallo-arancione, o di Parmigiano Reggiano, ad esempio. Da ciò deriva una conseguenza decisamente preoccupante e rischiosa, che palesa il legame esistente fra il Nutriscore e l’educazione alimentare, o meglio la scarsa educazione alimentare; in altre parole, se l’etichetta a semaforo venisse adottata su larga scala, gran parte degli acquisti alimentari, e in particolar modo di quelli dei consumatori meno educati dal punto di vista alimentare, si sposterebbe seguendo i suggerimenti dei colori riportati nelle etichette, con il concreto rischio che negli acquisti ci si faccia guidare solo dalle etichette più che da una vera e propria conoscenza ed educazione alimentare. 

Settore agroalimentare: introdotta la lista nera delle pratiche commerciali sleali

Il Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 198 (testo in calce), adottato in attuazione della direttiva UE 2019/633, contiene norme dirette al contrasto di pratiche commerciali sleali negli scambi tra gli operatori della filiera agroalimentare. La disciplina si è resa necessaria per contrastare le pratiche che si discostano dalla buona condotta commerciale, subite dagli agricoltori e dalle piccole e medie imprese, in violazione dei principi di buona fede e correttezza. Si ricorda che i produttori si trovano in una condizione di debolezza nei rapporti con gli altri attori della filiera a causa della deperibilità e della stagionalità delle produzioni.

La nuova normativa, quindi, intende garantire un livello minimo di tutela comune a tutta l'Unione europea. Per far ciò, viene stilata una lista nera (black list) in cui sono elencate le pratiche commerciali sleali vietate e una lista grigia (grey list) in cui sono indicate le pratiche che si presumono vietate salvo previo accordo tra le parti. Ad esempio, per i prodotti deperibili, il termine di pagamento non può superare i 30 giorni dalla consegna oppure non è possibile annullare l’ordine di tali beni con un preavviso inferiore a 30 giorni, diversamente si rientra in una pratica commerciale sleale.

I contratti di cessione devono essere informati a principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni. È necessaria la forma scritta e la durata del contratto non può essere inferiore a 12 mesi, fatti salvi i casi indicati dalla legge. Tale limite non opera nel caso di contratti di cessione nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, si pensi a bar e ristoranti, in quanto le forniture non sempre possono essere stabilite annualmente in ragione della stagionalità dell’attività.

La nuova disciplina si applica alle cessioni di prodotti agricoli e alimentari a prescindere dal fatturato di fornitori e acquirenti, ma non riguarda i contratti di cessione direttamente conclusi tra fornitori e consumatori. In buona sostanza, la normativa si applica ai contratti “business to business” (B2B) e non ai contratti “business to consumer” (B2C).

1. Nuova normativa ed entrata in vigore

Il d.lgs. n. 198/2021 è attuativo della direttiva (UE) 2019/633 del Parlamento europeo e del Consiglio, in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare; è, altresì, attuativo dell’art. 7 della legge 53/2021 (legge di delegazione europea 2019-2020) in materia di commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari.

Le nuove disposizioni entreranno in vigore il 15 dicembre 2021 e si applicheranno ai contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari conclusi a decorrere da tale data. I contratti in corso di esecuzione sono resi conformi alle disposizioni entro 6 mesi.

2. Il quadro normativo vigente e le abrogazioni

Prima di analizzare il testo normativo, si riporta sommariamente il quadro giuridico vigente e le abrogazioni operate dal decreto legislativo in commento.

  • Decreto legge 1/2012anche noto come “decreto liberalizzazioni” (convertito, con modificazioni, dalla legge 27/2012) recante la “Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari”; in particolare, l’art. 62- che si occupava degli elementi essenziali del contratto di cessione in discorso – viene abrogato.
  • Decreto legge n. 27/2019 anche noto come “decreto legge emergenze agricole”, in particolare, i commi 1, 3, 4, 5dell’art. 10 quater – ove, tra le altre cose, era stabilita una durata non inferiore a 12 mesi in relazione ai contratti di cessione di prodotti agricoli – sono abrogati.

Sono, altresì, abrogati:

  • il comma 6 bisdell'art. 36 del decreto legge 179/2012(convertito, con modificazioni, dalla legge 221/2012, recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”),
  • il decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali 19 ottobre 2012, n. 199.

Per completezza espositiva si ricordano:

  • Il decreto legge 51/2015(convertito, con modificazioni, dalla legge 91/2015) che all’art. 2 c. 2 ha introdotto norme specifiche per il rispetto di corrette relazioni commerciali in materia di cessione di latte crudo e, tra le altre cose, ha disposto una durata del contratto non inferiore a 12 mesi;
  • Il decreto legge 18/2020, in particolare l’art. 78, commi 2 bis, 2 tere 2 quater ove è considerata come pratica commerciale sleale e, quindi, vietata, la subordinazione di acquisto di prodotti agroalimentari, della pesca e dell'acquacoltura a certificazioni non obbligatorie riferite al COVID-19 né indicate in accordi di fornitura per la consegna dei prodotti su base regolare antecedenti agli accordi stessi.

3. Ambito di applicazione: maggiore tutela per gli operatori del settore

Il d. lgs. in commento considera vietate le pratiche commerciali:

  • contrarie ai principi di buona fede e correttezza,
  • imposte unilateralmente da un contraente alla sua controparte,

Invero, non si tratta di una novità, in quanto la normativa previgente si occupava già di tali fattispecie. Nondimeno, l’intento consiste nel razionalizzare e rafforzare l’attuale quadro giuridico per fornire una maggiore tutela dei fornitori e degli operatori della filiera agricola e alimentare rispetto alle suddette pratiche.

La disciplina:

  • si applica alle cessioni di prodotti agricoli ed alimentari, eseguite da fornitori che siano stabiliti nel territorio nazionale, indipendentemente dal fatturato dei fornitori e degli acquirenti;
  • non si applica ai contratti di cessione direttamente conclusi tra fornitori e consumatori.

In buona sostanza, la normativa opera per i contratti “business to business” (B2B) e non per i contratti “business to consumer” (B2C).

4. Le norme imperative

L’art. 1 c. 4 d.lgs. 198/2021 prevede che costituiscono norme imperative e prevalgono sulle eventuali discipline di settore con esse contrastanti, qualunque sia la legge applicabile al contratto di cessione di prodotti agricoli e alimentari, le seguenti previsioni:

  • 3 relativo a “principi e elementi essenziali dei contratti di cessione”
  • 4 in materia di “pratiche commerciali sleali vietate”
  • 5 circa “altre pratiche commerciali sleali”
  • 7 sulla “disciplina delle vendite sottocosto di prodotti agricoli e alimentari”.

Quindi, è nulla qualunque pattuizione o clausola contrattuale contraria alle predette disposizioni; trattasi di nullità parziale, in quanto la nullità della clausola non comporta la nullità del contratto.

L’art. 2 d. lgs. 198/2021 contiene le definizioni, si segnala che nella nozione di acquirente rientrano anche le autorità pubbliche e i gruppi di persone fisiche e giuridiche che procedono agli acquisti.

5. Contratti di cessione: principi ed elementi essenziali

L’art. 3 contiene i principi e gli elementi essenziali dei contratti di cessione, come abbiamo ricordato, si tratta di una norma imperativa.

I contratti di cessione, con riferimento ai beni forniti, devono essere informati a principi di:

  • trasparenza,
  • correttezza,
  • proporzionalità
  • e reciproca corrispettività delle prestazioni,

I suddetti principi devono essere rispettati prima, durante e dopo l'instaurazione della relazione commerciale.

I contratti di cessione devono essere conclusi in forma scritta prima della consegna dei beni, costituiscono forme equipollenti:

  • i documenti di trasporto o di consegna,
  • le fatture,
  • gli ordini di acquisto con i quali l'acquirente commissiona la consegna dei prodotti.

Gli elementi essenziali del contratto sono:

  • la durata,
  • le quantità e le caratteristiche del prodotto venduto,
  • il prezzo (in misura fissa o determinabile sulla base di criteri stabiliti nel contratto),
  • le modalità di consegna e di pagamento.

La durata del contratto non può essere inferiore a 12 mesi salvo le deroghe espressamente previste (art. 3 c. 4 d.lgs. 198/2021). Ad esempio, tale limite non opera nel caso di contratti di cessione nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, si pensi a bar e ristoranti, in quanto le forniture non sempre possono essere stabilite annualmente in ragione della stagionalità dell’attività.

Sono fatte salve le condizioni contrattuali stabilite dagli accordi quadro conclusi dalle organizzazioni professionali maggiormente rappresentative, nel rispetto del divieto di pratiche commerciali scorrette (articoli 4 e 5 d.lgs. 198/2021).

6. Le pratiche commerciali sleali vietate

L’art. 4, norma considerata imperativa, elenca le pratiche commerciali vietate in quanto ritenute sleali. La disposizione contiene:

  • una lista nera(black list) di condotte sempre vietate,
  • una lista grigia(grey list)in cui sono enumerate le condotte che si presumono vietate salvo che siano state precedentemente concordate dal fornitore e dall'acquirente a)nel contratto di cessione, b) nell'accordo quadro oppure c) in un altro accordo successivo, purché in termini chiari ed univoci.

7. La lista nera

L’elenco delle condotte scorrette è piuttosto ampio, per brevità espositiva se ne segnalano solo alcune.

Tra le pratiche vietate è compreso il ritardato versamento del corrispettivo (art. 4 c. 1 lett. a):

  • per i prodotti agricoli e alimentari deperibili, il termine di pagamento non può superare i 30 giorni dal termine del periodo di consegna;
  • per i prodotti non deperibili, il termine non può eccedere i 60 giorni dal termine della consegna.

Sono consentite esenzioni per la distribuzione di prodotti ortofrutticoli e di latte destinati alle scuole, per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria, nell'ambito di contratti di cessione tra fornitori di uve o mosto per la produzione di vino e i loro acquirenti diretti (art. 4 c. 3 d.lgs. 198/2021).

Rientra tra le pratiche sleali l'annullamento, da parte dell'acquirente, di ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso inferiore a 30 giorni, salvo eccezioni da indicare con un successivo regolamento (art. 4 c. 1 lett. c).

Sono parimenti scorrette le pratiche che prevedano:

  • la modifica unilaterale, da parte dell'acquirente o del fornitore, delle condizioni di un contrattodi cessione di prodotti agricoli e alimentari (art. 4 c. 1 lett. d)
  • l'inserimento, da parte dell'acquirente, di clausole contrattualiche obbligano il fornitore a farsi carico dei costi per il deterioramentoo la perdita di prodotti agricoli e alimentari che si verifichino presso i locali dell'acquirente o comunque dopo che tali prodotti siano stati consegnati (art. 4 c. 1 lett. f);
  • l'acquisizione, l'utilizzo o la divulgazioneillecita, da parte dell'acquirente, di segreti commercialidel fornitore (art. 4 c. 1 lett. h).

8. La lista grigia

L’art. 4 c. 4 d.lgs. 198/2021 elenca le pratiche che si presumono vietate, salvo che esse siano state precedentemente concordate da fornitore e acquirente in termini chiari ed univoci:

  • nel contratto di cessione,
  • nell'accordo quadro
  • ovvero in un altro accordo successivo.

Si presumono vietate le clausole contrattuali che pongono a carico del fornitore i rischi propri del venditore come:

  • la restituzione di prodotti rimasti invenduti,
  • costiper l'immagazzinamento, l'esposizione, e la messa in commercio dei prodotti del fornitore, oppure per gli sconti sui prodotti venduti come parte di una promozione,
  • costidel personale incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti del fornitore.

9. Interessi moratori maggiorati di 4 punti percentuali

L’art. 4 c. 2 d.lgs. 198/2021 prevede che, in caso di mancato rispetto dei termini, siano dovuti al creditore gli interessi legali di mora che decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine. Il saggio degli interessi è maggiorato di 4 punti percentuali ed è inderogabile. Pertanto, il tasso di interesse è pari al 12%, vale a dire 8% di interesse legale di mora a cui va aggiunto il 4% di maggiorazione ai sensi del citato articolo di legge. La disposizione non contiene una novità, infatti, quanto sopra era previsto anche dall’art. 62 c. 3 decreto legge 1/2012, recante la disciplina delle relazioni commerciali in materia di contratti cessione di prodotti agricoli e agroalimentari, abrogato dal decreto legislativo in commento.

Il citato art. 4 d.lgs. 198/2021 precisa che quando il debitore è una P.A. del settore scolastico e sanitario, è fatta salva la possibilità di pattuire termini di pagamento superiori a quelli stabiliti dalla legge purché siano giustificati dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche (art. 4 c. 4 d.lgs. 231/2002).

10. Altre pratiche commerciali sleali

L’art. 5 d.lgs. 198/2021, anch’essa norma imperativa, elenca ulteriori condotte scorrette.

Alcune di esse erano già menzionate nella disciplina previgente (art. 62 c. 2 d.l. 1/2012 ora abrogato), altre rappresentano ipotesi nuove, tra le quali si citano:

  • l’acquisto di prodotti agricoli e alimentari attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche a doppio ribasso (art. 5 c. 1 lett. a),
  • l'imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente gravoseper il venditore, ivi compresa quella di vendere prodotti agricoli e alimentari a prezzi palesemente al di sotto dei costi di produzione (art. 5 c. 1 lett. b),
  • l'esclusione dell'applicazione di interessi di mora a danno del creditore o delle spese di recupero dei crediti (art. 5 c. 1 lett. j),
  • l'imposizione all'acquirente, da parte del fornitore, di prodotti con date di scadenza troppo brevirispetto alla vita residua del prodotto stesso, stabilita contrattualmente (art. 5 c. 1 lett. m).

11. Buone pratiche commerciali

L’art. 6 fa salvo quanto disposto dalle norme imperative (ossia gli articoli 3, 4, 5, 7) e considera espressione di buone pratiche commerciali:

  • gli accordi e i contratti di filiera che abbiano durata dialmeno tre anni
  • i contratti conformi alle condizioni contrattuali definite nell'ambito degli accordi quadro,
  • oppure i contratti conclusi con l'assistenza delle rispettive organizzazioni professionali maggiormente rappresentative.

I contratti di cessione sono conformi ai principi di buona fede, correttezza e trasparenza quando sia nella fase di negoziazione che di esecuzione sono retti dai seguenti criteri:

  • conformità dell'esecuzione a quanto concordato;
  • correttezza e trasparenza delle informazioni fornite in sede precontrattuale;
  • assunzione ad opera di tutte le parti della filiera dei propri rischi imprenditoriali;
  • giustificabilità delle richieste.

12. Le vendite sottocosto

L’art. 7 d.lgs. 198/2021, norma imperativa, dispone che la vendita sottocosto dei prodotti agricoli e alimentari freschi e deperibili sia consentita solo nel caso di:

  • prodotto invenduto a rischio di deperibilità,
  • oppure nel caso di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta.

In caso di violazione di quanto sopra, il prezzo stabilito dalle parti viene sostituito di diritto (ex art. 1339 c.c.) con il prezzo risultante

  • dalle fatture d'acquisto,
  • in difetto, dal prezzo calcolato sulla base dei costi medi di produzione rilevati da ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo alimentare),
  • in difetto, dal prezzo medio praticato per prodotti simili nel mercato di riferimento.

13. Autorità di contrasto

L’art. 8 indica l’ICQRF (Dipartimento dell'Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari) come autorità nazionale che deve occuparsi dell'attività di accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui agli articoli 3, 4 e 5 del decreto in commento e dell'irrogazione delle relative sanzioni. L’ICQRF può avvalersi del Comando Carabinieri per la tutela agroalimentare, oltre che della Guardia di finanza. Restano ferme le competenze dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) per l'accertamento pratiche commerciali sleali.

L’art. 9 dispone che le denunce relative alle pratiche sleali vietate siano presentate all'ICQRF, inoltre, il denunciante può chiedere che alcune informazioni rimangano riservate.

L’art. 10 infine esplicita relativamente alle sanzioni comminate per le violazioni.

 

 

 

 

 

Pratiche sleali, ecco come segnalare gli abusi

Dopo l'approvazione del decreto legislativo di contrasto alle pratiche commerciali sleali arrivano i primi strumenti a disposizione degli operatori.

Dal 15 dicembre, data di entrata in vigore del decreto di attuazione della direttiva europea che vieta le pratiche sleali nei rapporti commerciali della filiera agroalimentare, sul sito istituzionale del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (www.politicheagricole.it) è presente la pagina "Pratiche sleali" con le indicazioni e le istruzioni per presentare segnalazioni di abusi e azioni scorrette, sia tra imprese che in materia di commercializzazione dei prodotti agricoli. Come previsto dal decreto, l’Autorità nazionale incaricata di vigilare sul rispetto delle disposizioni in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare - nonché dell’articolo 7 della legge 22 aprile 2021, n. 53 in materia di commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari -, è l'ICQRF (Dipartimento dell'Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali). Entrando nella pagina dedicata sarà presente il modulo di denuncia e quello di segnalazione, da scaricare e compilare. Le informazioni indicate nei moduli costituiscono elementi essenziali dell’istanza di intervento. L’ICQRF potrà richiedere, ad integrazione di quanto segnalato, ulteriori notizie e documenti utili alla valutazione delle richieste. Nessuna altra forma di comunicazione - informa il Mipaaf - mail, PEC o raccomandate potranno essere prese in considerazione.

Le grandi rivoluzioni alimentari della storia: 5 innovazioni che hanno cambiato i “piatti in tavola

I piatti che serviamo in tavola ogni giorno non sono “solo” frutto degli ingredienti usati per prepararli e della nostra abilità nel cucinarli: senza una lunga serie di invenzioni e scoperte tecnologiche – che oggi tendiamo a dare per scontate, ma che hanno creato nuovi modi di conservare ed elaborare gli alimenti – sarebbe stato impossibile anche solo immaginare molte delle ricette che quotidianamente consumiamo. ONO Exponential Farming, start-up innovativa attiva nel settore dell’agritech, ha raccolto cinque delle principali innovazioni che hanno rivoluzionato per sempre il nostro modo di mangiare. Vediamole insieme:

Dalle pentole alla pentola a pressione

Strumenti forse scontati, ma sicuramente essenziali: le prime pentole della storia, escludendo gli attrezzi rudimentali degli uomini primitivi, risalgono al periodo neolitico. I primi utensili erano in bronzo, che è poi stato sostituito dal ferro e, in epoca rinascimentale, dal rame. Ma è solo con la rivoluzione industriale che nascono pentole simili a quelle che ancora oggi utilizziamo. L’invenzione più tecnologicamente avanzata, in questo campo, è sicuramente la pentola a pressione: progettata nel 1680 dello scienziato francese Denis Papin (all’epoca incompreso), permette di cuocere il cibo con tempistiche ridotte e mantenendone intatti sapori e proprietà.

Il frigorifero

Sono di nuovo una coppia di francesi, l’ingegnere Ferdinand Carré e il fratello Edmond, i primi a costruire, nel 1860, un apparecchio in grado di garantire una produzione continua di ghiaccio, sfruttando l’abbassamento della temperatura provocato dal passaggio di stato da liquido a gassoso. L’invenzione, antesignana dei moderni frigoriferi, si è rivelata una delle più utili della storia della tecnologia, destinata a rivoluzionare completamente le modalità con cui vengono conservati dagli alimenti, fino ad allora semplicemente messi sotto sale, a essiccare o affumicare.

 

La cucina a gas

In un’epoca, nemmeno troppo lontana, si cucinava esclusivamente con stufe a legna o carbone: solo nel 1826 James Sharp, britannico, brevetta la prima stufa a gas, una novità assoluta per quel periodo storico. Nel 1837 viene avviata la fabbricazione di cucine a gas su scala industriale, mentre qualche anno più tardi, nel 1851, l’inventore presenta una delle sue macchine all’esposizione universale di Londra. Il pubblico accoglie da subito con grande entusiasmo la novità ma è necessario attendere qualche anno, a partire dal 1880, prima che il prodotto diventi effettivamente un successo popolare.

 

 

La macchina per il caffè espresso

È invece un italiano, senza sorpresa, l’inventore della macchina del caffè espresso: a brevettare il primo macchinario di questo tipo è infatti, nel 1901, l’ingegnere Giuseppe Bezzera. Un imprenditore, Desiderio Pavoni, credendo da subito nell’invenzione, ne avvia la fabbricazione in serie: il caffè prodotto con questo apparecchio conservava però uno sgradevole sapore di bruciato, per via del vapore utilizzato nel processo. A risolvere inconveniente è Giò Ponti, che nel 1948 realizza la “Cornuta”, la prima macchina del caffè espresso a caldaia orizzontale. Successivamente Achille Gaggia apporta un ulteriore miglioramento alla macchina, inventando il sistema a pistone e creando la prima macchina capace di fare la famosa crema di caffè.

Dicembre è il mese dei salumi

Ci siamo, Google non mente. Basta analizzare
le chiavi di ricerca per “salumi”, e ancor più per “Zampone” e
“Cotechino” per capire che è giunto il loro momento. È a dicembre, con
le festività e le tradizioni natalizie, che questi prodotti hanno
l’impennata della popolarità e dei consumi. L’invito di ASSICA
nell’ambito del progetto Trust Your Taste, Choose European Quality, è
di sperimentare nuovi modi e ricette per gustarli, da replicare poi
tutto l’anno. Dagli abbinamenti con il pesce (rombo e Prosciutto
crudo) a quelli con la frutta (arista e albicocche), fino alle
innumerevoli modalità di arricchire pasta e risotti, i salumi e la
carne di maiale hanno un potenziale gastronomico che va ben oltre
taglieri e bolliti! Le prime proposte di video-ricette sono già
disponibili nel sito
www.trustyourtaste.eu in continuo aggiornamento
con consigli e suggerimenti per una cucina a spreco zero, perché “del
maiale non si butta via niente” è un po’ il motto dell’intero progetto.

E allora perché non recuperare gli “avanzi” dei cenoni a base di
Zampone e Cotechino trasformarli in sfiziosi mousse, hamburger, o come
ingrediente principale di ripieni e ragù? O provare a stupire parenti
e amici cucinandoli in modi insoliti? L’obiettivo di ASSICA è
stimolare la curiosità e il gusto, magari approfittando di una vacanza
sulla neve per scoprire salumi e ricette locali perché il mondo dei
salumi è sconfinato e nonostante siano da secoli protagonisti delle
nostre tavole, li si conosce ancora molto poco. Non solo la maggior
parte degli italiani si limita a scegliere sempre gli stessi e più
noti prodotti ma vi sono anche notizie e convinzioni errate.

ASSICA ha recentemente interrogato alcuni consumatori ed ha scoperto
che su questi prodotti l’informazione non è aggiornata e la maggior
parte ancora non sa gli enormi progressi che i salumi e la carne di
maiale hanno compiuto sotto il profilo qualitativo e nutrizionale. Uno
studio promosso proprio da ASSICA ha dimostrato che nell’arco di 20
anni la carne suina è cambiata, adeguandosi alle esigenze dei moderni
stili di vita e riducendo di circa un terzo il contenuto di grassi.
Inoltre, i grassi insaturi nelle carni sono cresciuti fino a oltre il
60% dei grassi totali e l’acido oleico, il più abbondante acido grasso
presente nell’olio di oliva, è diventato il grasso principale dei
salumi di origine suina. Proprio lo Zampone e il Cotechino, i due
prodotti “must” delle tavole di Natale e Capodanno, ben esemplificano
questa evoluzione. Cento grammi di Cotechino hanno meno calorie di un
piatto di pasta all’uovo e circa la metà dei grassi dell’equivalente
di patatine in busta, che tutti consumiamo all’aperitivo senza nemmeno
pensarci, mentre lo Zampone ha e meno calorie di una pizza Margherita.

Rendere i consumatori più informati e consapevoli è il focus di “Trust
Your Taste, CHOOSE EUROPEAN QUALITY”, il progetto nato per promuovere
la cultura produttiva della carne suina e dei salumi, valorizzando gli
alti standard europei e la grande tradizione storica che
contraddistingue questo comparto. Il Progetto ha durata triennale
(2021-2024), si svolge in Italia e Belgio e gode del co-finanziamento
dalla Commissione Europea nell’ambito del Regolamento (UE) 1144/2014
(Azioni di informazione e di promozione riguardanti i prodotti
agricoli nel mercato interno).

ASSICA, Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi, è
l’organizzazione nazionale di categoria che, nell’ambito della
Confindustria, rappresenta le imprese di macellazione e trasformazione
delle carni suine. Nel quadro delle proprie finalità istituzionali,
l’attività di ASSICA copre diversi ambiti, tra cui la definizione di
una politica economica settoriale, l’informazione e il servizio di
assistenza ai circa 180 associati in campo economico/commerciale,
sanitario, tecnico normativo, legale e sindacale. Competenza,
attitudine collaborativa e affidabilità professionale sono garantite
da collaboratori specializzati e supportate dalla partecipazione a
diverse organizzazioni associative, sia a livello nazionale che
comunitario. Infatti, sin dalla sua costituzione, nel 1946, ASSICA si
è sempre contraddistinta per il forte spirito associativo come
testimonia la sua qualità di socio di Confindustria, a cui ha voluto
aderire sin dalla nascita, di Federalimentare, Federazione italiana
delle Industrie Alimentari, di cui è socio fondatore, del Clitravi,
Federazione europea che raggruppa le Associazioni nazionali delle
industrie di trasformazione della carne, che ha contribuito a fondare
nel 1957.

Prodotti sfusi e sicurezza alimentare: i consigli dell’Anses a distributori e consumatori

cibo e utilizzare meno packaging, cresce l’esigenza di fornire regole più precise, e di spiegare che cosa occorre fare nelle diverse situazioni. Da diversi anni hanno iniziato a moltiplicarsi i negozi o comunque le rivendite di alimenti sfusi per il pubblico, da acquistare preferibilmente portando da casa i contenitori in cui riporli. Ma le normative non si sono ancora adeguate.

Per questo l’Agenzia nazionale francese per la sicurezza alimentare, ambientale e del lavoro (Anses) ha iniziato a occuparsene, su incarico della Direzione generale per la concorrenza, il consumo e la repressione frodi, e ha pubblicato un primo documento che contiene alcuni chiarimenti e consigli e che rappresenta anche una risposta e un’integrazione alla legge contro lo spreco alimentare varata nello scorso mese di agosto con lo scopo di promuovere questo tipo di commercio. Nel testo della legge la vendita di prodotti sfusi si definisce come vendita ai consumatori di prodotti privi di imballaggio, da acquistare in quantità non predefinite, ma scelte dal cliente, e da riporre in confezioni riutilizzabili, con modalità assistita oppure libera.   

A questa prima definizione, l’Anses unisce una serie di delucidazioni relative a diversi aspetti. Così, dal punto di vista dei rivenditori, per quanto riguarda le informazioni, sarebbe molto utile adottare qualcosa di simile a ciò che è obbligatorio per i prodotti confezionati e che, invece, non lo è per quelli sfusi. Sarebbe cioè opportuno indicare la scadenza dell’alimento, la modalità ottimale di impiego (ossia di conservazione dopo l’acquisto, di preparazione, di cottura o comunque di lavorazione domestica), e i dati sul lotto (per aiutare a ricostruire velocemente le filiere in caso di incidenti o contaminazioni), per evitare rischi inutili.

Anche se non c’è alcun obbligo, l’agenzia raccomanda che queste informazioni siano messe a disposizione dei consumatori in modo chiaro e accessibile, e che i distributori siano responsabili della sicurezza alimentare di ciò che vendono. Questi ultimi, inoltre, dovrebbero applicare tutte le norme igieniche necessarie, compresa la pulizia regolare di ciò che viene toccato dai clienti, il controllo delle condizioni di conservazione, e l’impiego di espositori adatti. Per esempio, se si vendono potenziali allergeni, sarebbe auspicabile che gli utensili e i contenitori entrati in contatto con essi fossero tenuti separati, per evitare che qualche cliente allergico vada incontro a una crisi per esposizione inconsapevole. In generale, poi, le associazioni professionali dovrebbero compilare e distribuire una guida con le buone pratiche del commercio di alimenti sfusi, in modo che tutti i rivenditori possano adattarvisi e seguire i consigli giusti.

Anche i consumatori, però, dovrebbero osservare sempre alcune buone pratiche per ridurre o azzerare il rischio di intossicazioni. In qualche modo, con questa modalità di acquisto sono più direttamente responsabili della propria sicurezza e di quella di chi usufruisce dei loro acquisti, e dovrebbero quindi essere istruiti su alcuni aspetti. Così, dovrebbero sapere che tipo di contenitore portare per quale tipo di alimento, per evitare contaminazioni e dispersioni, e in ogni caso dovrebbero utilizzare materiali adatti ai cibi e contenitori scrupolosamente puliti. Dovrebbero poi anche sapere che, per quanto si possa pulire un certo contenitore, questo non lo mette del tutto al sicuro da contaminazioni, e avere quindi grande cautela e attenzione nell’osservazione di fenomeni sospetti come la formazione di muffe. In generale, proprio con lo scopo di migliorare le conoscenze di un pubblico in rapida crescita, l’agenza consiglia campagne informative sui media e nelle scuole, affinché siano chiare a tutti le pratiche adeguate e, nel tempo, esse diventino routinarie. 

Infine, anche per quanto riguarda i prodotti, occorrerebbero alcuni provvedimenti ad hoc. Finora si può vendere tutto, tranne ciò che può comportare un rischio. Per chiarire di che cosa rientri in tale definizione, esiste una lista ufficiale di prodotti esclusi, ai quali però l’agenzia propone di aggiungerne altri, come quelli che potrebbero contenere sostanze chimiche pericolose, come certi detergenti. In altri casi, chiede l’obbligo di vendita assistita, cioè effettuata comunque da un operatore, oppure accompagnata, nella quale, cioè, sia sempre presente un operatore debitamente formato che possa aiutare il cliente, oppure sostituirsi a lui in caso di necessità per il porzionamento o l’utilizzo di certi dispositivi (per esempio per il dosaggio o l’etichettatura). Il riferimento è, soprattutto, ad alimenti deperibili come quelli refrigerati (carne, pesce, latticini, salumi e così via), o di molti alimenti per animali, potenziali fonti di tossine e contaminazioni batteriche. 

Tale lista dovrebbe essere regolarmente aggiornata, per tenere conto tanto dei nuovi prodotti immessi sul mercato quanto delle nuove tecnologie e modalità di lavorazione e di distribuzione. In definitiva, ben venga l’acquisto senza confezioni e in quantità scelte di volta in volta. A patto che sia sempre fatto con attenzione e scrupolo da parte di tutti, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza.

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