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Il MOG ai tempi del Covid-19

Come Steel Tech srl è riuscita anche grazie all’implementazione del Modello Organizzativo di Gestione ad affrontare le problematiche della riapertura nel post-covid e nello stesso tempo creare vantaggio competitivo. Con il Decreto 231/2001, nell’Ordinamento Giuridico Italiano viene introdotto il MOG, il Modello Organizzativo di Gestione, un sistema strutturato ed organico di prevenzione, dissuasione e controllo finalizzato a sensibilizzare coloro che operano in nome e per conto della Società, affinché tengano comportamenti corretti e lineari nell’espletamento delle proprie attività, tali da prevenire il rischio di commissione dei reati previsti dal Decreto stesso. Oltre che ad escludere, o comunque limitare, la responsabilità amministrativa della Società evitando rischio di sanzioni (pecuniarie e interdittive) con gravi potenziali danni patrimoniali e d’immagine.

L’emergenza Covid-19 rappresenta sicuramente la più grande crisi sanitaria globale del XXI secolo, ha stravolto le nostre vite ma anche gli equilibri economici, politici e giuridici di tutti i Paesi. Le nuove modalità di organizzazione del lavoro introdotte comportano per esempio nuove circostanze che possono determinare rischi di reato per l’azienda, a cui si aggiungono i rischi biologici a cui i dipendenti sono esposti nello svolgimento delle attività lavorative.

In questa fase risulta dunque importantissimo provvedere all’adozione di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo poiché una struttura societaria munita di disposizioni organizzative, protocolli di controllo e codici comportamentali consente di evitare, o quantomeno di ridurre il rischio di commissione dei reati e nello stesso tempo garantire la protezione dei dipendenti anche dai rischi biologici.

Steel Tech srl ha adottato il Modello Organizzativo di Gestione insieme al Codice Etico già prima che scoppiasse l’emergenza Covid, perché siamo convinti che un buon sistema economico e produttivo non possa esistere senza una buona cultura aziendale, una maggiore chiarezza organizzativa e il rispetto delle persone e dell’ambiente.

L’avv. Marco Cantone, consulente per la redazione e implementazione del MOG in Steel Tech, sottolinea che “Proprio le procedure ed i protocolli previsti dal MOG, durante la fase di emergenza ”Covid” hanno consentito alle aziende di proseguire l’attività lavorativa in piena sicurezza, grazie alla proceduralizzazione di un insieme di regole che rendono sicuri i luoghi di lavoro e contrastano la diffusione del virus. Inoltre, l’adozione e la piena attuazione dei protocolli “Covid”, tiene indenne l’azienda da eventuali responsabilità in caso di contagio sui luoghi di lavoro (in ottemperanza a quanto disposto dal D. Lgs.n.81/2008 T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro)”.

E’ quindi evidente che un’azienda attenta alle dinamiche economiche e sociali che vuole offrire una garanzia di affidabilità ai partner commerciali e ai clienti, così come una gestione aziendale più trasparente e un maggiore rispetto delle normative come Steel Tech, debba essere pronta all’adozione di questi strumenti in grado di creare vantaggio competitivo e nello stesso tempo promuovere comportamenti più etici, rispettosi e sostenibili in un contesto sempre più complesso e multiforme come quello che stiamo vivendo.

Sistema fiere 2021: un ricco, piccante fuori menù

“Out of home” è il nome che ha recentemente scalzato la parola ricezione, superando, tra le altre, una parola tanto cara al settore professionale alimentare, Horeca.  Nonostante il comparto sia stato fermo a lungo e oggi assistiamo a un nuovo lento riavvio, le parole che lo descrivono inseguono nuove mode, figlie dei tempi. Ecco quindi che al periodo di totale chiusura segue la voglia di tornare a vivere all’aperto, fuori dalle mura domestiche.
A farne uso, tra gli altri, l’amministratore di Pitti Immagine che, proprio questo autunno, avrebbe lanciato con la partnership di Fiere di Parma un nuovo format rivolto appunto agli operatori “premium and contemporary” del settore. Il debutto di Flavor – questo il nome del format - però è posticipato a data da definirsi.
E mentre assistiamo all’ideazione di nuovi format e a formule innovative per entrare in contatto con gli operatori del settore, il sistema fiere mette a punto il nuovo calendario 2021 trovando sistemazione agli eventi cancellati o posticipati in questo 2020.
Sì, perché nonostante la presenza e la promozione online, per gli operatori del settore il momento e lo spazio “fiera” rappresenta ancora un mezzo tra i più efficaci e apprezzati per esplorare nuovi orizzonti di business, vantando tra l’altro molteplici opportunità: la possibilità di rivolgersi al pubblico con un proprio allestimento, l’aggiornamento professionale grazie alla conoscenza delle novità del settore, l’entrare in contatto con le nuove tendenze e i nuovi processi ma anche, perché no, conoscere come si muovono nel mercato i competitor internazionali.
Ma c’è di più: il sistema fieristico genera un giro d’affari annuo di 60 miliardi di euro e dà vita al 50% delle esportazioni delle aziende italiane. Del resto le fiere sono – senza discussione – uno strumento di politica industriale, tanto da essere uno dei sei pilastri del Patto per l’Export proposto dal Ministero degli Affari Esteri e firmato dalla nostra Confederazione. Tanto per citare un po’ di numeri: quasi 1000 manifestazioni (di cui oltre 200 di carattere internazionale) con 200 mila espositori di cui 1/3 provenienti dall’estero e 20 milioni di visitatori l’anno ci rendono il secondo sistema fieristico d’Europa e il 4° nel mondo.
Un settore, quello dei grandi eventi fieristici che, come ogni esposizione, genera un notevole indotto e un irrinunciabile business per le città titolate ad ospitare le kermesse impattando anche sugli enti fieristici – per lo più a capitale pubblico e con bilanci milionari - che quest’anno vedranno quasi azzerate le entrate.
Ma torniamo al calendario. Quello del prossimo anno, per come appare oggi, è decisamente troppo ricco. Di fatto, gli appuntamenti in programma nel 2020 (oltre 170 eventi) se non sono stati completamente cancellati, perché manifestazioni di carattere annuale, sono stati posticipati al prossimo anno. Una scelta umanamente condivisibile dal momento che sembrano non esistere le condizioni oggettive per l’organizzazione di saloni dedicati in cui si possano garantire le necessarie misure di distanziamento previste per il contenimento del contagio da Covid che ovviamente scoraggiano la partecipazione di operatori italiani che esteri e la presenza dei visitatori.
Eppure la questione necessità di un “ma”. Ecco quindi che, per citare due degli appuntamenti principali per il nostro settore, Cibus e Tuttofood saranno organizzate a distanza di appena 10 giorni l’una dall’altra.
Certamente sarà una difficoltà non da poco per gli operatori del settore, per lo più piccoli e medi imprenditori che, nella migliore delle ipotesi, faranno i salti mortali per partecipare a entrambe le iniziative per non rischiare di perdere occasioni di business, con un non indifferente esborso economico, dispiego di personale e di energie che, al contrario di ogni altra occasione potrebbero trovarsi a dover scegliere – a scatola chiusa – tra l’una e l’altra.
Un’amara considerazione che prende le mosse dalla consapevolezza di come il nuovo calendario fieristico 2021 non faccia altro che mettere in luce le storture del sistema, Permettetemi un breve inciso: le due fiere in questione, Cibus e Tuttofood sono espressione di altrettante città, altrettante alleanze, altrettanti interessi che male si incontrano con il motivo per cui nascono le fiere, ovvero offrire opportunità commerciali alle imprese del settore, per lo più piccole e medie. Sovrapponendo fiere già tra loro antagoniste di certo non si fanno gli interessi degli imprenditori.
A questo si aggiunge un difficile lavoro anche per l’ICE – dotato di centinaia di milioni per la promozione estera dal nuovo Patto per l’Export – che dovrà trovare un degno equilibrio di rappresentanza estera in occasione dei due appuntamenti, cercando di far arrivare alle due manifestazioni buyer internazionali, stampa specializzata, delegazioni estere o, trovando il modo, – quasi impossibile – di trattenere gli addetti ai lavori per ben 10 giorni nel nostro belpaese. Una guerra senza quartiere che è fotocopia di quanto accade, ad esempio, anche nel settore beverage: è il caso del nostro Vinitaly e di Prowine eventi che si svolgono a pochi giorni di distanza, uno a Verona l’altro a Duesseldorf. Ma qui la partita si gioca in Europa, e allora che vinca il migliore.  Pietro Marcato Presidente Nazionale Confimi Industria Alimentare 



Il food è l’unico settore in crescita nel 2020

L’ultimo studio pubblicato da Euromonitor International conferma, caso mai ce ne fosse bisogno, come il covid stia trasformando i comportamenti e i modelli di consumo a livello globale. L’analisi mostra come i consumi caleranno del 4,3%, rispetto al 2019. La crisi economica, con la chiusura forzata di numerose attività in diversi settori, unita a quella economica con ridotta capacità di spesa che vanno ad aggiungersi a quella sanitaria con le persone bloccate in casa, sta portando ad una vera a propria rivoluzione nelle abitudini di consumo. Si spenderà meno per la casa (-1%) e la scuola (-2,5%), caleranno i consumi di alcolici e tabacco (-3%), mentre ad altri settori andrà decisamente peggio. Si è già discusso a lungo di come il comparto Horeca, che in Italia sta ripartendo, seppur con lentezza, è stato tra i più colpiti con una perdita di quasi l’8% a livello globale. Crollo anche per elettrodomestici (-8,1%) e attività ricreative (-9%). Il settore dei trasporti (-9.5%), sarà in assoluto quello che registrerà la perdita maggiore. Il rovescio della medaglia di tale situazione è l’agroalimentare, che registrerà invece una crescita di poco superiore al 2%. La crisi economico-sociale-sanitaria con l’incertezza sul futuro porterà i consumatori a prediligere ancora il fare la spesa, cucinare e mangiare a casa. Come indicato da Nielsen, si spenderà ancora molto in prodotti per l’igiene e per la pulizia. Scontata ovviamente la crescita dell’online, che in Italia raggiungerà i 2,5 miliardi di Euro, con il “new normal” che forzatamente dovrà essere multicanale.

Fotografia del food dopo la pandemia

La pandemia di Covid-19 ha causato una crisi economica e sanitaria globale come non ne abbiamo mai viste in vita nostra. Impattando anche i sistemi alimentari di vari Paesi e ponendo l’accento sull’importanza della supply chain. Da tempo, del resto, è necessario un villaggio globale per nutrire il mondo, e se le scorte alimentari si interrompessero una crisi pandemica come quella del coronavirus si trasformerebbe velocemente catastrofe. A sottolinearlo è la società di ricerche S2G Ventures, il cui team ha dedicato gli ultimi mesi alla ricerca e al monitoraggio del Covid-19 e delle sue implicazioni sul settore del food & beverage.

Negli ultimi mesi sono emersi diversi problemi nella catena di approvvigionamento alimentare a livello globale. La pandemia sta mettendo in discussione la natura stessa della supply chain, stressando le reti logistiche e rafforzando l’importanza dell’accesso al lavoro. Ci sono poi preoccupazioni riguardo al ‘nazionalismo alimentare’ e alla ridefinizione della natura della sicurezza alimentare, dai sistemi globali a quelli nazionali. La pandemia ha evidenziato, secondo S2G Ventures, che è il momento di agire con urgenza – da parte dei governi e del settore privato – con investimenti a lungo termine, necessari per costruire un sistema alimentare più innovativo e resiliente. Se è vero che i settori agroalimentare e agricolo sono generalmente più resistenti in situazioni economiche sfavorevoli, diversi sotto-ambiti dipendono fortemente dal lavoro ‘in presenza’ e inevitabilmente risentono delle misure di distanziamento sociale, uniche nel loro genere, che gravano sulle imprese. Un esempio significativo è rappresentato dalle aziende di lavorazione della carneDiversi grandi gruppi negli Stati Uniti sono stati costretti a chiudere gli impianti in seguito all’epidemia e all’elevato numero di contagi all’interno degli stabilimenti. La pressione su questo punto non colpisce solo allevatori e aziende, ma anche il consumatore. Con l’aumento progressivo delle chiusure dei macelli, le vendite di prodotti di origine vegetale negli Usa sono aumentate del 200 per cento. La ‘plant-based meat’ al momento concerne ancora una piccola frazione del mercato, ma siamo comunque di fronte ad un segnale significativo da parte dei consumatori.

Il coronavirus sta cambiando notevolmente anche il modo in cui i consumatori acquistano, preparano e consumano il cibo. Tra il 2009 e il 2018, il consumo fuori casa è passato dal 50,1% al 54,4% del mercato. Ora, con l’allontanamento sociale e la sostanziale impossibilità di mangiare al ristorante, molti consumatori si sono convertiti alla cucina di casa, o all’ordinazione a domicilio – soprattutto mediante delivery. Nonostante quello del food sia un settore resiliente, la divaricazione tra spesa e fuori casa è diventata drammaticamente evidente e approfondita.

All’interno degli store alimentari americani i guadagni di quote di mercato delle private label stanno accelerando, mentre i consumatori riducono l’entità della singola spesa e cercano alternative orientate all’alto contenuto di servizio. In linea con i più recenti megatrend, è prevedibile che i consumatori diano sempre più la priorità a marchi ‘better-for-you’.

I comportamenti d’acquisto dei consumatori, uniti alla crescente quota di innovazione dei prodotti, possono determinare cambiamenti nella distribuzione delle quote di mercato con effetti significativi sugli operatori. Anche se il Covid-19 non ha (ancora) creato nuove tendenze, diversi trend osservati poco prima del coronavirus hanno subito un’accelerazione. Tra questi spiccano le proteine alternative, le coltivazioni indoor, la digitalizzazione dell’agricoltura e del grocery e l’utilizzo del cibo come ‘farmaco’. Nell’ambito della supply chain agro-alimentare la pandemia ha messo a nudo i problemi legati ai lunghi cicli di produzione delle industrie, alla produzione centralizzata e alla dimensione degli impianti di lavorazione. Ma ha anche generato una forte richiesta da parte dei consumatori di proteine alternative, tra cui vegetali, funghi, alghe e ‘carne’ prodotta in laboratorio. Qualunque sia la prossima generazione di proteine, S2G Ventures sostiene che velocità di produzione, prezzo e gusto saranno driver determinanti.

Infine, sta prendendo piede il trend del cibo come fattore di ‘salute e immunità’. La convergenza con scienza e tecnologia può sbloccare questo settore e inaugurare una nuova era basata su microbiologia, ingredienti funzionali, nutrizione personalizzata e alimenti medicali. Prima del Covid-19, questa tendenza era in gran parte legata a malattie della nutrizione. Ma la pandemia ha mostrato come il 90 per cento dei pazienti ospedalizzati sia affetto da problemi clinici pregressi, il più comune dei quali – se non altro negli Stati Uniti – è l’obesità.

Dalla ricerca di S2G Ventures emergono diversi trend che potrebbero facilmente caratterizzare il mondo post Covid-19:

  • La digitalizzazione delle filiere sarà probabilmente guidata dalla dis-intermediazione, per consentire nuove relazioni con il consumatore e ridurre i rischi lungo tutta la supply chain;
  • sistemi alimentari decentralizzati consentono l’uso estensivo dell’automazione nella produzione di proteine alternative e prodotti locali. Sono anche più coerenti con una logica omnicanale: l’e-commerce ne accelera l’adozione;
  • La scomponibilità nella catena di approvvigionamento alimentare, unita a tecnologie che esercitino una pressione deflazionistica sull’industria, può aiutare a catalizzare agricoltura e allevamento su attributi che vadano oltre la resa (gusto, contenuto proteico, ecc.), un ritorno alla policoltura e il passaggio verso una rigorosa attenzione al profitto misurato per area coltivata;
  • Infine, il ‘cibo come immunità’ ha il potenziale di colmare alcune lacune della sanità, puntando su produzione e consumo di alimenti per il trattamento di specifiche malattie croniche legate alla nutrizione.

Ortofrutta, un italiano su tre ha aumentato i consumi durante il lockdown

I consumi di ortofrutta nel corso del lockdown sono cambiati, con effetti che si risentiranno anche nella Fase 2. È quanto emerge dal focus sui consumi domestici di ortofrutta dell’osservatorio ‘The world after lockdown’ di Nomisma e CRIF, che analizza l’impatto della pandemia Covid-19 sulle vite dei cittadini, grazie al coinvolgimento di un campione di mille italiani responsabili degli acquisti (18-65 anni). La forzata permanenza degli italiani fra le mura domestiche nelle lunghe settimane del lockdown ha spinto il consumo di frutta e verdura fresca e trasformata. Un italiano su due ha infatti modificato gli acquisti in questo periodo, con un forte aumento delle quantità consumate (circa un italiano su tre) – mentre sul fronte opposto solo il 15% dichiara di aver diminuito i consumi.

Le dinamiche dei consumi di ortofrutta riflettono quanto accade all’intero paniere alimentare, in aumento per il 23% delle famiglie, mentre si assiste ad un calo diffuso per le spese rimandabili quali abbigliamento (38% delle famiglie ha ridotto gli acquisti) e arredamento (35%).

L’incomprimibilità della spesa domestica per alimentare e bevande è un evidente effetto dell’incremento del numero di pasti at home, collegati alla pressoché totale chiusura del canale away from home e all’adozione dello smart-working. Per gli stessi motivi, oltre che per una generale ricerca per prodotti naturali e salutistici, le vendite di ortofrutta nella distribuzione modera hanno registrato un grande balzo durante il lockdown (+15,8% a valore la variazione 17 febbraio – 26 aprile 2020 rispetto allo stesso periodo 2019. La crescita 2020 nel periodo pre-Covid era stata invece del 3,3%, – fonte Nielsen). La crescita è stata sostenuta soprattutto dalla frutta (+20,4% a valore) rispetto alla verdura (+13,4%). Un driver importante sono stati i valori salutistici associati al consumo di frutta – in particolare di quella ricca di vitamina C, come le arance e kiwi, ma anche delle mele, categorie che più di altre hanno dato impulso agli acquisti. Tuttavia, se da un lato l’incremento a valore della spesa riflette i maggiori acquisti in quantità e la ridefinizione del mix dei prodotti ortofrutticoli infilati nel carrello, dall’altro indica l’effetto di un incremento dei prezzi, percepito da ben il 69% dei responsabili acquisti delle famiglie. La percezione della crescita dei prezzi riflette anche la rimodulazione degli acquisti per canale. La spesa è cresciuta in tutti i punti vendita, ma durante il lockdown gli italiani hanno fatto maggior ricorso rispetto al pre-Covid ai negozi di vicinato e ai piccoli supermercati di prossimità. I comportamenti adottati per evitare il rischio di contagio in caso di assembramenti hanno portato non solo ad un diradamento della frequenza della spesa, ma anche alla preferenza di punti vendita prossimi alle abitazioni. Soprattutto in quelli che hanno introdotto servizi quali click & collect, ordini telefonici, via WhatsApp o tramite sito internet (il 16% delle famiglie ha fruito del food delivery).

Una famiglia su 4 ha acquistato ortofrutta tramite i siti web delle insegne della distribuzione organizzata, con una domanda potenziale ancora maggiore e non soddisfatta a causa di una forte intensità delle richieste (durante il lockdown il 16% ha provato a piazzare un ordine senza successo). Ma per l’ortofrutta il canale on line non si esaurisce con la Gdo: un ulteriore 15% ha fatto un acquisto nei siti di produttori/mercati agricoli on line. Queste tendenze, embrionali prima del lockdown, potrebbero diventare abitudini consolidate nel post-lockdown. Frutta e verdure fresche sono state le protagoniste sulla tavola degli italiani nelle settimane trascorse in casa. Complice il maggiore tempo a disposizione e una rinnovata attenzione alla buona cucina, i maggiori acquisti hanno riguardato queste referenze, cui si sono affiancati anche i surgelati (presenti durante il lockdown in almeno una occasione nel carrello degli acquisti del 90% degli italiani: +30% a valore nelle vendite della Gdo nel mese di marzo), che grazie alla lunga conservazione hanno consentito di garantire la necessità di fare “scorta”. All’opposto i prodotti time-saver e ready to eat, come gli ortaggi confezionati e già pronti all’uso in cucina e le zuppe e minestre pronte da scaldare, hanno avuto una lieve battuta d’arresto. Nelle prossime settimane è atteso un riequilibrio, ma fintanto che le misure di salvaguardia della salute degli italiani saranno alte e alcune attività procederanno a ritmo ridotto, gli effetti sulla composizione del paniere di spesa dell’ortofrutta continueranno a farsi sentire. Il maggiore interesse per la salute e il benessere, unito al forte interesse per l’italianità che riflette sia sicurezza che forte senso di solidarietà verso il nostro Paese, saranno i principali attributi che guideranno le scelte dell’ortofrutta nei prossimi 6 mesi. L’origine 100% italiana del prodotto sarà l’elemento chiave delle scelte degli italiani: il 60% dei responsabili acquisti dichiara, infatti, che questo criterio – già rilevante in passato – sarà ancora più centrale. A conferma è elevata anche l’importanza attribuita ai prodotti a km zero o del territorio (45%). Grande interesse si concentra anche nella ricerca di adeguate garanzie relativamente al controllo ed alla rintracciabilità lungo la filiera (45%). Tra gli altri valori determinanti i prodotti biologici (34%) e salutistici (32%), con un occhio anche alla sostenibilità, grazie alle confezioni in materiali riciclabili o comunque ecosostenibili (30%). I consumatori di frutta e verdura, infine, faranno anche molta attenzione alla convenienza e al prezzo (42%), visto lo scenario di difficile congiuntura economica, che determinerà sempre più un forte ridimensionamento dei redditi e quindi della capacità di spesa degli italiani.

Distanziamento e niente buffet, le regole anti-contagio per le cene a casa con gli ami-ci

È vero, ora siamo tutti un po’ più liberi di muoverci. Negozi e ristoranti hanno riaperto, il picnic al parco è di nuovo consentito e possiamo tornare ad allenarci in palestra. Il tutto nei limiti del distanziament0 sociale e delle rigide regole pensate per evitare una recrudescenza dell’epidemia (che non sempre vengono rispettate). E se per stare più tranquilli organizzassimo una cena con gli amici in casa? Anche in questo caso, però, dovremmo prendere alcune precauzioni per non trasformare un’allegra rimpatriata in un nuovo focolaio. 
Per prima cosa, bisogna menzionare il fatto che molti consigliano di creare delle “bolle sociali”, cioè dei (piccoli) gruppi di amici che si impegnano a incontrarsi solo tra di loro, almeno nella prima fase di allentamento delle misure di contenimento dell’epidemia. Le cosiddette “bolle sociali” hanno lo scopo di ridurre la diffusione del contagio – minore è il numero di persone con cui si sta a stretto contatto, minore è il rischio – ma anche di facilitare il tracciamento dei contatti dei positivi, nel caso in cui le cose vadano storte.

Dopo questa premessa possiamo passare ai consigli pratici. In primo luogo, il numero delle persone invitate deve essere congruo allo spazio a disposizione, soprattutto se si parla di luoghi chiusi, perché bisognerebbe comunque rispettare il distanziamento sociale. All’arrivo gli ospiti dovrebbero presentarsi con la mascherina e toglierla solo una volta entrati. Sarebbe meglio togliere anche le scarpe e lasciarle all’ingresso, ma si tratta di una precauzione in più che si può evitare lavando a fondi i pavimenti dopo l’evento. Ovviamente questo consiglio non vale se stiamo organizzando una grigliata in giardino. È una buona idea anche quella di mettere a disposizione degli ospiti gel disinfettanti e salviette monouso per asciugare le mani, in modo da non dover condividere lo stesso asciugamento.

Come al ristorante, anche in casa è bene disporre i posti intorno al tavolo in modo da mantenere il distanziamento tra gli ospiti, ad eccezione delle persone che abitano sotto lo stesso tetto, ovviamente. Da evitare il buffet e i vassoi di antipasti, che favoriscono assembramenti e comportano l’uso di posate comuni. Lo stesso vale per i finger food, che come dice il nome sono cibi da prendere con le mani. La cosa migliore, quindi, è servire tutte le portate già nel piatto (magari usando i guanti) e posizionare una pagnotta nel posto assegnato a ciascun commensale.
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