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Origine della carne suina trasformata in etichetta: via libera al decreto italiano

L’origine delle carni suine nei prodotti trasformati come prosciutti e salumi diventa obbligatoria. Il decreto italiano ha ricevuto il via libera con il silenzio assenso della Commissione europea, dopo che è trascorso il periodo di tre mesi dalla notifica della proposta, ed è alla firma dei ministri delle Politiche agricole, dello Sviluppo economico e della Salute. Il provvedimento, come già accaduto in passato per gli altri decreti di origine, entrerà in vigore sotto forma di sperimentazione e sarà valido fino al 31 dicembre 2021.

Il nuovo decreto prevede che sulle etichette degli alimenti trasformati a base di carni suine siano indicati il “Paese di nascita: (nome del paese)”, il “Paese di allevamento: (nome del paese)” e il “Paese di macellazione: (nome del paese)” degli animali. Nel caso in cui la carne provenga da maiali nati, allevati e macellati in un unico paese, può essere usata l’indicazione “Origine: (nome del paese)”, e se il paese in questione è l’Italia può essere utilizzata la dicitura “100% italiano”. Se invece la carne proviene da suini nati, allevati e macellati in uno o più stati europei o extra-europei, possono essere usate le indicazioni “Origine: UE”, “Origine: extra UE” e “Origine: Ue e extra UE”.

L’Italia si conferma avanguardia in Europa e ci batteremo a Bruxelles perché si estenda l’obbligo a tutti gli alimenti.” ha dichiarato la ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova – La strategia Farm to Fork va attuata anche per l’etichettatura obbligatoria a livello UE. Firmiamo un decreto importante che sono convinta possa aiutare tutta la filiera suinicola a valorizzare le produzioni 100% italiane.”

L’etichettatura dei prodotti trasformati che contengono carne suina, va quindi ad aggiungersi ai provvedimenti che hanno reso obbligatoria l’indicazione della provenienza del grano per la pasta, del riso, del pomodoro e del latte, la cui validità è stata recentemente prorogata fino al 31 dicembre 2021. In caso contrario, questi decreti sarebbero decaduti con l’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sull’origine dell’ingrediente primario.

Salmonella in filetti di pollo marinati e congelati e Escherichia coli in vongole vive

Nella settimana n°28 del 2020 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 54 (6 quelle inviate dal Ministero della salute italiano).

L’elenco dei prodotti distribuiti in Italia oggetto di allerta comprende tre casi: Salmonella enterica (ser. Enteritidis e ser. Infantis) in filetti di pollo marinati e congelati, dalla Polonia; conteggio troppo alto di Escherichia coli in vongole vive (Ruditapes philippinarum) dall’Italia; presenza di lattosio in yogurt dichiarato senza lattosio, proveniente dalla Grecia (a marchio Despar Free From; nelle versioni senza grassi e con pezzi di fragola; venduto in confezioni da 150 grammi con il numero di lotto 26/07/2020, che coincide con la data di scadenza. Nella lista delle informative sui prodotti diffusi in Italia che non implicano un intervento urgente troviamo: Salmonella enterica (ser. Blockley) in cozze vive (Mytilus galloprovincialis) dall’Italia; Salmonella in due lotti di proteine animali trasformate, per alimenti per animali domestici, dalla Spagna.

Questa settimana tra le esportazioni italiane in altri Paesi che sono state ritirate dal mercato la Germania segnala un’allerta per la presenza di Salmonella in salame, dall’Italia; la Spagna segnala norovirus (GII) in vongole vive (Chamelea gallina); la Spagna segnala conteggio troppo alto di Escherichia coli in vongole veraci.

La pizza è consumata in tutto il mondo ma spesso non è un prodotto Made in Italy

Günther Karl Fuchs, autore del blog Papille Vagabonde, focalizza l’attenzione sulla pizza e si chiede come mai l’Italia non sia riuscita a creare un marchio per salvaguardare l’immagine di un prodotto che tutto sommato possiamo considerare nazionale.

“In questi giorni guardavo i dati degli acquisti fatti durante il lockdown al supermercato e tra i prodotti più acquistati c’è la pizza ovunque. Incredibile ma vero partendo da Napoli la pizza è riuscita ad affascinare i palati di tutto il mondo. Non c’è nessun altro prodotto che è sinonimo d’Italia nel mondo come la pizza. Diciamo che si è badato di più ad aprire pizzerie piuttosto che a cercare di creare un marchio di tutela e affrontare la sfida della lavorazione industriale. Nel tempo è molto cambiato il modo di consumare la pizza: da cibo di strada pronto subito per essere consumato a un prodotto surgelato da mangiare in modo programmato.

Oggi si può passare una serata in una delle tante pizzerie per tutte le tasche o mangiarla anche nei locali più raffinati (anche Cracco propone la pizza nel menu). Si può ordinarla e farla portare direttamente a casa quando si vuole grazie alle diverse app per smartphone, oppure la si prende e si scalda nel forno dopo l’acquisto al supermercato. Si può preparare per proprio conto partendo da pasta madre o lievito di birra oppure adoperare le basi già pronte.

Considerando il successo di vendite durante il lockdown si capisce che le grandi multinazionali del settore alimentare si stanno concentrando sull’innovazione del prodotto pizza e c’è da chiedersi cosa vedremo nel futuro. Oggi la maggior parte delle pizze in vendita al supermercato son surgelate, la surgelazione è nota per essere il migliore sistema di conservazione grazie alla catena del freddo (-18°). Poi c’è la pizza conservata in atmosfera protettiva con scadenza a breve, già pronta de mettere in forno. Su queste ultime si prevede una maggiore crescita con la nascita di nuovi marchi che offriranno delle scelte di pizze gourmand. Ci sono già pronte diverse compagne di comunicazione che daranno spazio all’artigianalità di queste proposte, all’utilizzo delle farine e degli ingredienti di qualità.

Le pizze in atmosfera protettiva sono quelle che potrete trovare al banco freschi sui banchi frigo a fianco di yogurt e pasta fresca. In questo segmento di mercato avranno spazio le specialità tipiche locali come la Pinza, la Focaccia romana farcita, la focaccia di Recco. La maggior parte delle pizze si riscaldano in forni statici o ventilati anche se le grandi aziende hanno studiato formati e pizze adatte esclusivamente ai forni a microonde (la principale domanda arriva dai mercato orientali). L’anno scorso nel mondo l’8% delle pizze vendute erano senza glutine. Negli USA il 25% delle pizze vendute sono senza glutine, in pratica una pizza su quattro è senza glutine. Nel settore ci sono due categorie, quelle a base di mix di cereali senza glutine e quelle con la base costituita da ortaggi e verdure. Le più famose sono quelle a base di cavolfiore che lanciò come ricetta Alain Ducasse diversi anni fa e Nestlé in America ha proposto con il marchio California Pizza Kitchen, la pizza con base di cavolfiore.

Non mancano le proposte alternative realizzate da piccole aziende che sostituiscono il cavolfiore con i broccoli o le patate dolci, un segmento in continua evoluzione quello delle basi per pizza vegetali.

La tendenze di ridurre i prodotti d’origine animale influenza anche la pizza, cosi si può trovare la pizza vegana in cui prodotti d’origine animale come la mozzarella vengono sostituiti da alternative vegetali e arricchita di soli prodotti vegetali (zucchine, melanzane, peperoni). Il consumo della pizza si evolve da tutto pasto a spuntino per qualsiasi momento della giornata, la sua semplicità e la sua adattabilità conquista i mercati globali. Grazie all’industria e alla tecnologia la pizza è ormai un prodotto adattabile alle esigenze dei consumatori del nuovo millennio con un grande assortimento: pizze condite già pronte da mettere in forno, pizze surgelate, pizze senza glutine, pizze vegetali. Peccato non avere saputo creare un marchio italiano forte a tutela della pizza come produzione e commercializzazione e lasciare che le grandi multinazionali del settore food traggano profitto da un prodotto tipico italiano. Il marchio che più richiama l’Italia è Buitoni ma da diversi anni appartiene alla Nestlé, multinazionale svizzera.

Ci sono poi dei produttori, qualcuno anche leader sul mercato italiano e in qualche mercato estero ma hanno quote a livello globale molto piccole e poco influenti come: Italpizza, Roncadin, Freddi Mantua Surgelati, Apizza (questi ultimi sono napoletani). Tutti bravi e appassionati a loro modo ma forse avrebbero avuto bisogno di un sostegno diverso.
In questo senso sono più fortunati in Grecia, dove il marchio dello yogurt Fage, nonostante tutto, è di un’azienda greca ed è leader di mercato assoluto dello yogurt greco in tutto il mondo, capace d’influenzare le scelte dei concorrenti, spiace non potere dire la stessa cosa della Pizza”.

Gelato artigianale: il decalogo per scegliere quello vero

Il gelato artigianale è uno dei dolci preferiti dagli italiani che affollano ogni estate le 20 mila gelaterie sparse sul territorio. Il problema è riuscire distinguere le vere gelaterie artigianali da quelle che utilizzano prevalentemente semilavorati industriali. In assenza di una legge mancano le regole e chiunque può proporre ai consumatori il proprio gelato artigianale e questo crea molta confusione. Per individuare il vero cono artigianale abbiamo scelto dieci elementi tutti importanti e non sempre facili da seguire.

1) Il primo segreto per gustare appieno un gelato artigianale è di mangiarlo subito dopo la mantecatura, quando la pasta è ancora morbida. In questa fase la metà della miscela deve ancora ghiacciare e la temperatura oscilla tra -8 /-10°C e si può cogliere un effetto vellutato che però si perde dopo 7-8 ore perché il banco frigorifero con le vaschette segna 6-7 gradi in meno e a questa temperatura la formazione dei piccoli cristalli di ghiaccio si completa. La regola è valida ma non sempre, perché alcuni gusti danno il meglio sotto il profilo aromatico dopo alcune ore o addirittura il giorno dopo, vedi il cioccolato e la frutta secca, cioè dopo una certa maturazione in vaschetta. La regola generale è che il gelato artigianale dovrebbe essere mangiato entro tre giorni.

2) La seconda cosa riguarda gli additivi. Le gelaterie che preparano e dosano all’interno del proprio laboratorio tutti gli ingredienti, compresi gli emulsionanti e gli addensanti, come si faceva una volta, sono pochissime. Si tratta di una scelta che richiede una conoscenza approfondita delle materie prime e della tecnica oltre a molto tempo a disposizione. Per questi motivi pochi sono in grado di seguire una modalità di lavorazione che esclude del tutto i semilavorati industriali. Le rare gelaterie che fanno tutto in casa e non aggiungono additivi ottengono un gelato con una struttura debole, da consumare a distanza di poche ore dalla produzione. Gran parte degli artigiani utilizza un preparato chiamato “neutro” (a base di additivi che comprende addensanti naturali come farina di semi di carrube, di guar, di tara e pectine talvolta miscelati a emulsionanti). Questo preparato è indispensabile per dare la giusta struttura al gelato e il 99% dei gelati artigianali lo contiene. Il neutro rappresenta una quantità minima della ricetta (3-5 g per kg) e viene aggiunta insieme agli altri ingredienti durante la preparazione.

3) Gli ingredienti. I gelati artigiani migliori si riconoscono non per il tipo di “neutro”, ma per gli altri ingredienti. C’è chi usa latte fresco di alta qualità e chi preferisce quello a lunga conservazione, chi impiega la panna fresca e chi l’olio di palma o di cocco, chi aggiunge la vera vaniglia del Madagascar e chi l’aroma artificiale etil-vanillina. Per capire come viene preparato il gelato bisogna leggere la lista degli ingredienti che è obbligatorio mettere a disposizione della clientela. Molte gelaterie lo fanno, anche se è francamente difficile decodificare un elenco composto da una decina di pagine con tante sigle e nomi complicati.  

4) Gelati alla crema. Molti artigiani impiegano semilavorati industriali, che possono essere anche di ottima qualità, ma hanno il grosso difetto di avere un gusto uniforme. Per alcuni gusti l’uso di semilavorati è quasi obbligatorio come nel caso del gelato alla nocciola o al pistacchio. Per questi due gelati è molto difficile trovare artigiani che lo preparino partendo dalle nocciole tostate o dai semi di pistacchio appena raccolti. Quasi tutti usano semilavorati a base di pasta di nocciola o di pistacchio. Il problema è che la qualità è molto variabile e il costo cambia in funzione del tipo e della quantità di nocciole. Per il pistacchio, ad esempio, il preparato più caro è quello ottenuto con il vero pistacchio di Bronte mentre decisamente economico è quello ottenuto da pistacchi provenienti dall’oriente.

5) Molte gelaterie, che a parere nostro non dovrebbero definirsi  “artigianali”, utilizzano quasi esclusivamente semilavorati in polvere chiamati “basi”  ovvero miscele in polvere contenenti:  proteine, zuccheri, latte, aromi, addensanti ed emulsionanti. Si tratta di miscele “perfette” da mettere nel mantecatore insieme ad acqua o latte. A questo punto basta aggiungere altri preparati in pasta o puree di nocciola, cioccolato, pistacchio… per ottenere i vari gusti alla crema. I semilavorati però non sono tutti uguali ed doveroso fare dei distinguo perché comprendono tre livelli, a basso, medio e alto dosaggio. Utilizzando i semilavorati a basso e medio dosaggio, l’artigiano può ancora intervenire nella miscela aggiungendo una parte di ingredienti come cioccolato, pasta di nocciole o frutta congelata di sua scelta e personalizzare in qualche modo il gelato. Il semilavorato ad alto dosaggio (speedy) è una busta da 1,250 kg da mettere nel mantecatore con una quantità doppia di acqua o latte. Il ricorso a questi semilavorati è una scelta che fa risparmiare molto tempo, perché non si devono selezionare e preparare gli altri ingredienti, ma il risultato non è certo eccellente. Uno dei segreti  del vero segreto artigiano è creare gusti in funzione  delle materie prime stagionali e possibilmente legati al territorio.

6) Gelato allo yogurt. Si può fare aggiungendo al fiordilatte un semilavorato all’aroma di yogurt. Meglio è aggiungere al gelato al fiordilatte il 15-20% di yogurt vero e una parte di semilavorato di yogurt. Il metodo migliore è mettere nel mantecatore una miscela composta dall’80% di yogurt fresco insieme a fruttosio, proteine del latte delattosate ed emulsionante. Alla fine il gelato ha lo stesso nome ma i sapori sono molto diversi. In questo caso, se nella lista degli ingredienti e dei gusti in corrispondenza del nome “gelato yogurt” il latte fermentato compare come primo ingrediente, il risultato dovrebbe essere ottimo.

7) Sorbetti, granite e ghiaccioli. Anche per il gelato alla frutta la qualità della materia prima ha una grande importanza. L’artigiano può scegliere soprattutto in estate prodotti di stagione legati al territorio, oppure orientarsi sulla frutta biologica. Il problema è che bisogna prima comprarla e poi sbucciarla e l’operazione richiede tempo, anche se garantisce un ottimo risultato. L’alternativa è affidarsi ai semilavorati di frutta surgelata o ai vasi di puree industriali che contengono sempre aromi per rinforzare il sapore. Ci sono anche semilavorati surgelati e puree di ottima qualità e costosi che però non possono infondere lo stesso sapore della frutta fresca.

8) Il colore è un elemento importante perché le finte gelaterie artigianali sono riconoscibili proprio per il colore. Quando la tonalità è intensa e troppo vivace  il gelato sarà preparato con semilavorati  e il sapore risulta troppo carico per via degli aromi aggiunti.

9) L’igiene è il prerequisito di una qualsiasi gelateria. I camici del personale devono essere di colore chiaro, puliti e abbinati a un copricapo. Ogni vaschetta deve avere una spatola e non ci devono essere sbavature sui bordi. Il cartello degli ingredienti va posizionato bene in vista. Il termometro all’interno del banco frigorifero deve indicare -14 / -16° C. Quando il personale che prepara il cono maneggia anche denaro dovrebbe usare un fazzolettino di carta per prendere la cialda. Il pavimento e le pareti devono essere pulitissimi ed è gradito un sistema a raggi Uv contro gli insetti.

10) Le differenze tra una vera gelateria artigianale e una che fa ampio utilizzo di semilavorati industriali sono molte, ma non sempre risultano così evidenti. Per il consumatore non è semplice distinguere il vero dal finto artigiano, ad eccezione di qualche elemento che può far suonare un campanello d’allarme come i colori vivaci. Dopo l’esame visivo il test si fa assaggiando il cono.

I webinar di Csqa

Csqa, ente di Certificazione di sistema e di prodotto, ispezione, formazione organizza due interessanti webinar per il settore agroalimentare nei prossimi giorno. Il 1 luglio (a partire dalle h 10:30, diretta streaming) l’appuntamento è per il settore mangimistico con il webinar gratuito #FSSC22000 per il settore FEED e PET-FOOD che illustrerà le caratteristiche e le potenzialità di questa certificazione GFSI per il comparto (rivolto alle aziende ed ai professionisti del settore che intendono certificare il proprio sistema di gestione a fronte di questa norma internazionale). Relatore sarà Giulio Battistella | FSSC Technical Manager CSQA , Link iscrizioni: https://bit.ly/3dleggA. Giovedì 9 luglio a partire dalle h 17 (webinar organizzato da Apulia Logistics con la collaborazione di Csqa oltrechè di Confimi Industria Logistica Bari e Propeller Club Port of Bari) l’appuntamento è con “Incoterms 2020: criticità e soluzioni” . Gli Incoterms sono le regole codificate e pubblicate dalla International Chamber of Commerce (ICC), usate per definire i termini di pagamento nella compravendita di merci, la cui nuova versione è entrata in vigore il 1° gennaio 2020.

Il corretto utilizzo degli Incoterms 2020, da parte degli operatori commerciali, è il presupposto per la gestione di rapporti d’affari con controparti estere, minimizzando rischi di spese impreviste ed evitando errori, malintesi, ritardi e costose controversie.

Il webinar è rivolto, in particolare, ad Amministratori, Export Manager, Responsabili Acquisti e della Logistica di aziende che operano con l’estero, con un focus sulla resa EXW e sulle peculiarità dell’Import.

Per Csqa interverrà il direttore commerciale Michele Zema (previsti anche i contributi di Riccardo Figliolia e Sergio Ventricelli per Confimi Industria e Alessandro Ambrosi per la Camera di Commercio di Bari).

Più cibo italiano sulle tavole degli italiani

Pare che il covid abbia reso gli italiani più… patriottici. Questo è quanto emerge dall’ultima analisi di Coldiretti sui dai Istat riferiti alla bilancia commerciale per il mese di Aprile 2020. Lo studio evidenzia come via sia stato un calo del 16% nelle importazioni mentre l’export agroalimentare abbia retto bene il colpo, come già evidenziato da Confragricoltura, con un calo solo dell’1%. La pandemia sta spingendo l’82% dei consumatori a privilegiare nel carrello prodotti tricolori per sostenere l’occupazione e l’economia nazionale, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’. Il primo settore industriale italiano non a caso è in grande espansione e ha raggiunto il valore record di 7,1 miliardi, interessando ormai i il 25% di tutti gli alimenti sugli scaffali dei supermercati con bandiere, simboli, scritte e denominazioni che richiamano il Belpaese, secondo un’analisi Coldiretti su dati Nielsen. L’attenzione alla provenienza nazionale ha portato a ridurre la presenza di molti prodotti stranieri che negli ultimi anni si sono affermati sulle tavole degli italiani, dalla carne di manzo inglese, che crolla del 38%, allo champagne francese, che perde il 24%, fino alla frutta esotica come il mango in calo del 40%, secondo un’analisi Coldiretti sul valore delle importazioni a marzo 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Coldiretti fa notare che a tale situazione abbiano senz’altro contribuito iniziative come la campagna #mangiaitaliano e l’alleanza salva spesa, lanciate proprio per favorire l’economia tricolore.  
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