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Confimi Industria scrive al Mef e all'Agenzia delle entrate: PROPOSTE DI MODIFICA NORMATIVA ALLA DISCIPLINA IVA DI CUI ALL’ART. 26 DEL DPR 633/72

PROPOSTE DI MODIFICA NORMATIVA ALLA
DISCIPLINA IVA DI CUI ALL’ART. 26 DEL DPR 633/72
Misure per agevolare il ritorno al virtuosismo nel rispetto
dei termini di pagamento fra gli operatori (B2B)
Procedura per il recupero dell’Iva sui crediti commerciali insoluti
Possibilità per lo Stato di insinuarsi come creditore al passivo fallimentare




Motivazioni e osservazioni formulate da Confimi industria

La proposta trova applicazione esclusivamente nei rapporti business to business (B2B) e non richiede coperture erariali. Al contrario, come vedremo, la proposta aprirebbe la possibilità per l’Erario di ridurre le situazioni in cui, per effetto dell’art. 26 comma 2, lo Stato si fa carico dell’Iva recuperabile dai creditori alla fine delle procedure fallimentari.

Ad oltre due anni dall’entrata in vigore del D.Lgs n. 192/2012 di recepimento della Direttiva 2011/7/CE, contro i ritardati pagamenti, sono purtroppo ancora del tutto inefficaci le misure nel settore privato. Il ritardo nei pagamenti, complice il perdurare della crisi economica e le difficoltà del sistema normativo e giudiziario
[1] Come evidenziato anche dal rapporto della Banca mondiale "Doing Business 2015" (rapporto che dà evidenza di molteplici indicatori che incidono sull’attrattività o meno degli Stati, e analizza i sistemi giudiziari aventi ad oggetto la risoluzione degli inadempimenti contrattuali) l’Italia occupa la posizione 147 su 183. L'analisi comparativa viene eseguita raffrontando i tempi necessari per ottenere in ciascuno Paese una sentenza di condanna al risarcimento del danno per inadempimento: in Italia tale sentenza arriva dopo 1.185 giorni, in Spagna dopo 510 giorni, in Inghilterra 437 giorni, in USA 420 giorni, in Francia 395 giorni, in Germania 394 giorni, in Giappone 360 giorni. In breve, le imprese straniere incassano i risarcimenti dei danni derivanti da inadempimenti contrattuali in media nel giro di un anno, mentre le aziende italiane devono attendere 3 anni e 3 mesi (quando va bene).

La proposta normativa mira a introdurre una misura che si ritiene sia in grado di riportare in equilibrio i rapporti fra le parti (oggi paradossalmente squilibrati a favore del debitore). La soluzione è già prevista dalla disciplina Iva, ma la sua applicazione a oggi è troppo circoscritta per rappresentare un meccanismo in grado di innescare un processo di auto equilibrio dei rapporti.

Già dal 1998, l’art. 26 comma 2 del DPR 633/72 prevede, in alcuni casi circoscritti, la possibilità di emettere nota di accredito per recuperare l’Iva in precedenza già versata all’Erario. Questa norma deriva dalla facoltà concessa dall’articolo 90 della Direttiva 2006/112/CE che così si esprime:

“1. In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri.

2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1.”

In Italia questa facoltà è stata ammessa solo in situazioni limite e cioè in caso di risoluzione contrattuale o eventualmente a seguito di procedure esecutive o concorsuali infruttuose e, a seguito delle misure introdotte dall’art. 31 del decreto legislativo n. 175/2014 sulle semplificazioni, anche per gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati o dei piani attestati pubblicati nel Registro delle imprese. La norma comunitaria, tuttavia, è di portata ben più ampia e consente di accogliere anche altri casi di “ordinaria” insolvenza. A sostegno di tale conclusioni vi sono alcune recenti sentenze interpretative della Corte di Giustizia.

Con riguardo al citato art. 90, due sono, in particolare, le conclusioni di interesse che derivano dalla sentenza della Corte di Giustizia del 15/5/2014, in causa C-337/13 (ALMOS).

La prima. Se l’insolvenza del cliente determina la risoluzione del contratto, così come nel caso di annullamento o recesso, il fornitore deve potere far valere innanzi al giudice nazionale il diritto di poter recuperare l’Iva versata invocando l’art. 90 § 1 della Direttiva 2006/112/CE laddove tale disciplina non sia stata recepita internamente. Da questo versante la normativa italiana sembra adeguata.

La seconda, invece, può interessare anche l’Italia. La sentenza, infatti, conferma la possibilità per il fornitore di ridurre la base imponibile (e conseguentemente di recuperare l’Iva) anche nelle ipotesi di mancato pagamento del corrispettivo in casi diversi dalla risoluzione, annullamento, o recesso.  Tutto ciò anche nel caso di insoluti per vendite a rate, come conferma la sentenza della Corte di Giustizia del 3/9/2014, in causa C-589/12 (GMAC UK) a sua volta interpretativa dell’art.11, parte C, della VI^ Direttiva Iva (oggi art. 90 della Direttiva 2006/112/CE) a presidio di un principio fondamentale della direttiva (§ 37 della sentenza) “secondo cui la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente percepito ed il cui corollario consiste nel fatto che l’amministrazione finanziaria non può riscuotere a titolo dell’Iva un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo”.

E’ altresì confermato, tuttavia, come tale possibilità sia a discrezione degli Stati e la norma Italiana attuale, com’è noto, ammette il recupero solo in situazioni patologiche eccessivamente complesse e lunghe quali gli esiti negativi di procedure esecutive o concorsuali infruttuose o, a seguito del decreto semplificazioni (cit), degli accordi di ristrutturazione omologati e dei piani attestati pubblicati nel Registro Imprese. A seguito dell’ordinanza di rinvio 3 marzo 2015 n. 259 della Commissione tributaria Regionale di Milano, la Corte di Giustizia si dovrà peraltro esprimere circa l’eccessiva onerosità, dell’art. 26 comma 2 nella parte in cui subordina il diritto di recupero dell’imposta al soddisfacimento della prova del preventivo esperimento di procedure concorsuali ovvero di procedure esecutive infruttuose anche quanto tali attività siano ragionevolmente antieconomiche in ragione dell’ammontare del credito vantato, delle prospettive del suo recupero e dei costi delle citate.

La proposta emendativa mira a superare dette limitazioni riconoscendo, in aderenza con le possibilità concesse dalla Direttiva, la possibilità, per il fornitore, nel caso di insoluti, di recuperare l’Iva sul corrispettivo non riscosso obbligando il debitore, insolvente, che l’aveva precedentemente detratta (beneficio ingiustamente goduto), a versarla all’Erario.

Si tratta di una soluzione “innovativa” in grado di contribuire, nel B2B, a rimettere in moto il virtuosismo nei pagamenti tramite l’estensione della possibilità di recupero dell’Iva in tutti i casi di mancato rispetto dei termini di pagamento (ben oltre quindi i citati casi limite).

La misura, peraltro, non crea problemi di gettito essendo circoscritta al caso del B2B e ciò che viene recuperato dal creditore insoddisfatto (il fornitore) và contestualmente riversato dal debitore inadempiente (il cliente).

Per tale motivo, l’Agenzia delle entrate, a cui verrebbe inoltrata telematicamente la nota di accredito (valevole, ovviamente, ai soli fini Iva), fungerebbe da garante contro eventuali abusi fornendo un utile servizio al creditore. Lo stesso fatto che al fornitore venga messa a disposizione una procedura attivabile facoltativamente funge da deterrenza affinché il debitore rispetti i termini di pagamento poiché, in caso contrario, il cliente moroso si troverebbe a dover riversare all’Erario quanto già detratto con la concreta possibilità di subire controlli mirati da parte dei verificatori.

Dal versante dell’Agenzia delle entrate e per l’Erario si appaleserebbe, peraltro, un duplice vantaggio:

1)      l’attuazione della proposta contribuirebbe a promuovere un’immagine collaborativa e positiva dell’Agenzia creando un rapporto di fiducia con i contribuenti e di semplificazione degli adempimenti;

2)      il fatto di inoltrare telematicamente la nota di variazione all’Agenzia potrà consentire, alla medesima, la tempestiva insinuazione nel caso di fallimento del debitore (l’attuale interpretazione della C.M. 77/E/2000 che consente al creditore l’emissione della nota di accredito solo dopo la chiusura della procedura concorsuale non consente, invece, all’Amministrazione finanziaria di insinuarsi come creditore al passivo fallimentare, essendo la procedura già conclusa).
Il meccanismo, ancorché indirettamente, può considerarsi avvallato proprio dai giudici europei laddove (§ 37 sentenza 15/5/2014, cit) precisano come la Direttiva fornisca agli Stati margini di discrezionalità nell’individuare le modalità da fissare per consentire, in tal casi, la riduzione della base imponibile senza dimenticare, peraltro, che:

-          in forza dell’art. 273 della Direttiva, gli Stati membri possono prevedere “obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’Iva e ad evitare le evasioni”;

-          l’art. 185 § 2 della Direttiva prevede che “in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate … gli Stati membri possono … esigere la rettifica” della detrazione.

Anche per effetto del sondaggio di cui si dirà oltre, è convinzione di Confimi che l’adozione di siffatta soluzione riporterebbe anche l’Italia al virtuosismo di 40 anni fa - quando è nata l’Iva – quando cioè il pagamento vista fattura dell’imposta (almeno quella) era la regola universalmente praticata.



La soluzione più nel dettaglio

La procedura può sembrare complessa, ma in realtà sarà più semplice di quanto possa apparire poiché l’effetto deterrenza, rappresentato da una procedura telematica che garantisca l’immediata “vigilanza” dell’Agenzia delle Entrate, spingerà buona parte degli operatori (e in particolare quelli che inopinatamente profittano della generale situazione di crisi) a essere più virtuosi nei pagamenti e, quindi, a evitare l’attivazione della procedura. Questo il possibile funzionamento che potrebbe essere delineato dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate:

a) a fronte dell’insoluto del cliente il fornitore emette una nota di variazione in diminuzione, di sola Iva. In questo modo il fornitore recupera l’Iva precedentemente versata ed obbliga il cliente inadempiente, che precedentemente ha goduto della detrazione senza aver pagato il fornitore, a riversarla all’Erario;
b) il fornitore comunica telematicamente all’Agenzia delle Entrate tale variazione, in modo che la medesima possa celermente verificare se il cliente effettua il riversamento dell’imposta;
c) nel momento e nella misura in cui il fornitore incasserà il corrispettivo, il fornitore emetterà nota di addebito in rivalsa di sola Iva, riversandola all’Erario (a meno che nel frattempo non intervengano le situazioni di cui all’art. 26, co.2, del DPR 633/72 come, ad esempio, la procedura esecutiva infruttuosa, il fallimento, ecc);
d) il cessionario/committente che pone rimedio al precedente insoluto, potrà così tornare a detrarre l’Iva secondo le ordinarie disposizioni previste dalla disciplina Iva.


Il gradimento degli operatori

Confimi industria ha somministrato un questionario a circa 250 imprese associate al fine di conoscere l’opinione dei soggetti interessati in merito alla proposta retro descritta. I risultati del sondaggio (in allegato a questo documento) evidenziano un responso pressoché plebiscitario a favore della proposta. Più nel dettaglio:

-          circa l’ 85% del campione è favorevole alla proposta e ritiene che possa spingere il debitore a rispettare maggiormente i termini di pagamento (8% astenuti; 7% contrari);

-          sostanzialmente analoga la percentuale di coloro che ritengono altresì che l’attivazione della procedura tramite il monitoraggio dell’Agenzia delle Entrate possa aiutare il fornitore/creditore nella gestione dell’insoluto;

-          solo il 10% ritiene che la procedura sia troppo complessa (il dato coincidente con quello di chi è contrario alla proposta);

-          la distribuzione dei consensi in base alla situazione aziendale (presenza o meno di insoluti) dimostra che il consenso è distribuito su tutte le soluzioni (favorevoli, incerti, contrari). Anche chi non ha problemi di insoluti sui crediti considera valida la proposta (20 su 22) segno che le risposte non sono dettate esclusivamente dal coinvolgimento personale, ma che sono sostanzialmente obiettive. 

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