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La campagna internazionale: chiudere per sempre i wet market, basta autostrade per il virus

Li chiamano wet market, i mercati bagnati. E il nome deriva dal sangue che vi scorre. Letteralmente. Sono i mercati di animali vivi, che vengono macellati sul posto, e sono particolarmente diffusi in diverse aree del mondo, soprattutto nelle zone orientali dell’Asia. Ed è proprio in uno di questi, a Wuhan, che con tutta probabilità si è verificato lo spillover, il passaggio da specie a specie, che ha portato il virus SARS-CoV-2, che secondo gli scienziati si è sviluppato inizialmente nei pipistrelli e si è poi trasferito ad altri animali come il pangolino, ad essere aggressivo e letale anche nei confronti dell’uomo, come purtroppo la pandemia in corso sta dimostrando. L’associazione internazionale Animal Equality, che si batte per la protezione degli animali allevati a scopo alimentare, ha lanciato in questi giorni una campagna mondiale per chiedere alle Nazioni Unite di vietare fin da subito l’attività di questo genere di mercati.

Fiumi di sangue - Nei wet market non vengono rispettate le regole di igiene a tutela delle persone. E men che meno vengono tenuti in conto i bisogni degli animali che, pur destinati alla macellazione, dovrebbero essere messi nelle condizioni di non subire inutili sofferenze. Ma in questi mercati non ci sono norme di comportamento, si fa come si è sempre fatto. Per sopperire alla mancanza di camion frigorifero, gli animali vengono condotti vivi ai banchi di vendita. E macellati al momento, senza troppi scrupoli e senza troppe attenzioni all’igiene, prima di essere consegnati al compratore. Che pensa così di ricevere carne «fresca». Il risultato, come testimoniano anche alcune riprese video con immagini particolarmente crude raccolte dall’associazione in Cina, Vietnam, India e altri Paesi dell’area asiatica (ma lo stesso avviene anche in diversi mercati africani), sono fiumi di sangue e acqua che scorrono sui piazzali, dove la gente cammina spesso a piedi scalzi, con carcasse di vario genere - volatili, procioni, coccodrilli, cani, cervi - accatastate dentro a bidoni di latta alla mercé di mosche e insetti, a loro volta diffusori di infezioni Nel nome della tradizione - A tutto ciò si aggiunge l’aspetto culturale, ovvero il fatto che per alcune tradizioni siano considerate prelibatezze le carni di animali selvatici che a noi occidentali suonano improbabili come cibo e che provenendo dalle foreste e dalle aree selvatiche sono più a stretto contatto con le patologie virali che proprio in quelle aree hanno sempre avuto origine. Ma che in quelle aree, se non ci fosse l’azione dell’uomo – la caccia, il prelievo di animali, ma anche la deforestazione diretta o quella indotta dai cambiamenti climatici - potrebbero restare confinate (in presenza di una ampia biodiversità, i virus finiscono con l’attaccare anche specie non ricettive e di conseguenza a non riprodursi al di là di quanto la natura è in grado di autoregolare). La carne di animali selvaggi, la cosiddetta bush meat, in alcuni casi è anche una necessità: in luoghi dove le persone faticano a sfamarsi, anche la scimmia o l’istrice sono fonte di cibo che non vengono disdegnate. Ma questo aspetto riguarda generalmente popolazioni che già vivono ai margini delle foreste. Nei mercati delle grandi città industriali come Wuhan la vendita di animali vivi, ancor di più quello di specie che dovrebbero vivere solo in ambienti in cui la presenza dell’uomo non è prevista, è solo un retaggio culturale difficile da estirpare. L’origine delle pandemie- Per questo da più parti viene invocato un intervento normativo da parte delle autorità internazionali, a partire proprio dalle Nazioni Unite. La Cina, dal canto suo, ha già annunciato di volere vietare la vendita di animali vivi e alcuni deputati stanno provando a portare avanti un bando al consumo di carne di cane, animale domestico e d’affezione nella cultura occidentale ma che nei Paesi dell’estremo oriente è invece considerato una pietanza di buon auspicio da cucinare nei giorni di festa. «I wet market non hanno posto nella nostra società e dovrebbero essere immediatamente chiusi – commenta Matteo Cupi, direttore esecutivo di Animal Equaliti in Italia -. Non solo questi mercati sono estremamente crudeli per gli animali, ma la ricerca scientifica ha dimostrato il loro legame con le epidemie di malattie di origine animale, dimostrando che sono anche una minaccia immediata per la salute e la sicurezza pubblica». L’associazione cita studi dei Cdc, i Centers for disease control and prevention che fanno da supporto al progetto One Ealth negli Usa, secondo cui più di 6 su 10 malattie infettive conosciute dagli esseri umani sono state diffuse dal contatto con gli animali e 3 su 4 delle malattie infettive nuove o emergenti provengono direttamente dagli animali. Come, appunto, l’attuale coronavirus o, negli anni scorsi, la Sars, la Mers o l’influenza suina H1N1. «Basta autostrade per i virus» - I wet market sono da questo punto di vista degli inneschi formidabili per le pandemie, con enormi quantità di animali ammassati, uccisi e maneggiati senza la minima precauzione: catturati direttamente nelle foreste, non sottoposti a controlli veterinari, trasportati per lunghe distanze e ammassati in gabbie per giorni prima del momento della macellazione. «Sono stressati e immunodepressi ed espellono qualsiasi agente patogeno presente in loro – ha spiegato nei giorni scorsi sul quotidiano britannico Guardian il prof Andrew Cunningham della Zoological Society di Londra - . Con la presenza di un gran numero di persone al mercato che stanno a stretto contatto con i fluidi corporei di questi animali, si ha una combinazione ideale per l’insorgenza della malattia». La petizione ha già raccolto metà delle 100 mila firme che si propone di mettere insieme per sensibilizzare le Nazioni Unite. Anche il mondo scientifico è concorde e diversi studiosi e ricercatori hanno già fatto appelli in tal senso. «Se prendi gli animali selvatici e li metti in un mercato con animali domestici o altri animali, dove c’è la possibilità per il virus di fare un salto di specie, stai creando una super autostrada per il passaggio dall’animale selvatico all’uomo – ha detto il dr Ian Lipkin, esperto di malattie infettive interpellato dall’emittente americana Cbs -. Non possiamo più farlo. Non possiamo più tollerarlo. I wet market devono essere chiusi per sempre».

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