AAA Cercasi segni più per l'export alimentare italiano
Sparuti segni “più” quelli registrati dall’Istat circa le esportazioni dei prodotti alimentari italiani. Segnali incoraggianti solo se si prende in considerazione che, i dati, riguardano (anche) i primi mesi successivi al lockdown.
Il periodo è stato – e continua a essere - sicuramente molto difficile per le nostre aziende, ma la sensazione è che la ripresa sia partita con uno slancio interessante. Il made in Italy alimentare tiene bene soprattutto sui suoi prodotti più distintivi.
La pasta, ad esempio, ha fatto registrare un +21% sulle vendite all’estero: 97mila tonnellate esportate in più rispetto al 2019. Di queste, ben 72 mila destinare al mercato Ue. Quella che a maggio Coldiretti aveva definito “una fiammata” che difficilmente si sarebbe confermata nei mesi successivi sembra invece essere una tendenza che resiste.
In ripresa, doveroso un forse, anche l’esportazione del vino italiano, che sui mercati extra Ue nel primo quadrimestre del 2020 fa registrare un incoraggiante +5,1%, nonostante i due mesi di lockdown che hanno investito più o meno tutto il mondo. A trainare le vendite del vino nei Paesi extra UE sono gli Stati Uniti (dove, nei primi due mesi dell'anno, l'export aveva fatto registrare un +40%).
Ora dobbiamo vedere se questa tendenza verrà confermata anche perché, il segno positivo, potrebbe essere ascritto a ordinativi sì consegnati in questo periodo ma emessi prima del fermo dettato dal virus.
Nonostante i numeri d’incoraggiamento vorrei ribadire – per non essere frainteso - che è sbagliato pensare che a causa della mancata chiusura delle produzioni alimentari il settore abbia sofferto di meno.
Il danno maggiore – notevole anche la riduzione della produttività degli stabilimenti per mettere giustamente in sicurezza i lavoratori - deriva dalla chiusura di luoghi come ristoranti, bar, hotel nel periodo del lockdown. Attività ancora in sofferenza, non solo per gli spazi ricettivi ridotti, ma anche per via dallo smart working che tiene a casa milioni di impiegati pubblici e privati: in Italia, il consumo di pasti fuori casa vale circa 80 miliardi di euro, un terzo del fatturato se pensiamo al totale di 250 miliardi di consumi alimentari.
E nella situazione di emergenza si genera – mediaticamente – una sorta di gara per assegnare il premio a chi ha sofferto di più. Al contrario, da imprenditori del settore non possiamo che fare una riflessione: sarebbe interessante capire quali realtà imprenditoriali potranno reagire più agevolmente.
Forse le grandi aziende specializzate nella vendita alla grande distribuzione? Che però le previsioni vedono in crisi da settembre per via di un calo del potere di acquisto dovuto all’impoverimento delle famiglie.
Che siano invece le filiere di qualità, eccellenze del Made in Italy, inizialmente le più colpite ma oggi nuovamente trainate dalla riapertura dei mercatiinternazionali e dal ritorno degli avventori nei ristoranti e dal miglioramento del flusso turistico estero? Una sola certezza, al momento nessuno prospera.
Dall’altro lato della medaglia, i consumatori dello stivale sembrano privilegiare i prodotti nostrani: secondo Nielsen infatti l’l'82% degli italiani ha un carrello della spesa con prodotti del tricolore.
Sempre secondo i dati raccolti, il mercato interno di prodotti alimentari ha raggiunto il valore record di 7,1 miliardi, pari al 25% degli alimenti sugli scaffali.
Per non lasciare parole sospese e dargli spessore facciamo qualche esempio: il manzo italiano si è affermato a discapito di quello inglese, crollati del 38%; ha perso anche lo champagne francese, che registra un meno 24%; segno negativo anche per la frutta esotica come il mango in calo del 40%.
Ma torniamo a noi, esportazioni dicevamo. Il primo grido d’allarme è di pochi mesi fa, aprile. L’export infatti segnava un calo a doppia cifra, frutto tra le altre cose, dell’effetto criminalizzazione del prodotto italiano. Tra chi richiedeva certificati virus-free e chi bloccava le merci in transito facendole deperire, si è generata una paura scientificamente infondata che ha creato un’onda d’urto tale da figurare come campagna contro i prodotti alimentare italiani che pure non avevano nessun ruolo nella trasmissione del virus. Paure placate solo dall’intervento dell’Efsa e simili organismi internazionali che hanno dichiarato illegittime tali accuse.
Eppure, il danno è fatto.
Pietro Marcato Presidente Confimi Industria Alimentare
Il periodo è stato – e continua a essere - sicuramente molto difficile per le nostre aziende, ma la sensazione è che la ripresa sia partita con uno slancio interessante. Il made in Italy alimentare tiene bene soprattutto sui suoi prodotti più distintivi.
La pasta, ad esempio, ha fatto registrare un +21% sulle vendite all’estero: 97mila tonnellate esportate in più rispetto al 2019. Di queste, ben 72 mila destinare al mercato Ue. Quella che a maggio Coldiretti aveva definito “una fiammata” che difficilmente si sarebbe confermata nei mesi successivi sembra invece essere una tendenza che resiste.
In ripresa, doveroso un forse, anche l’esportazione del vino italiano, che sui mercati extra Ue nel primo quadrimestre del 2020 fa registrare un incoraggiante +5,1%, nonostante i due mesi di lockdown che hanno investito più o meno tutto il mondo. A trainare le vendite del vino nei Paesi extra UE sono gli Stati Uniti (dove, nei primi due mesi dell'anno, l'export aveva fatto registrare un +40%).
Ora dobbiamo vedere se questa tendenza verrà confermata anche perché, il segno positivo, potrebbe essere ascritto a ordinativi sì consegnati in questo periodo ma emessi prima del fermo dettato dal virus.
Nonostante i numeri d’incoraggiamento vorrei ribadire – per non essere frainteso - che è sbagliato pensare che a causa della mancata chiusura delle produzioni alimentari il settore abbia sofferto di meno.
Il danno maggiore – notevole anche la riduzione della produttività degli stabilimenti per mettere giustamente in sicurezza i lavoratori - deriva dalla chiusura di luoghi come ristoranti, bar, hotel nel periodo del lockdown. Attività ancora in sofferenza, non solo per gli spazi ricettivi ridotti, ma anche per via dallo smart working che tiene a casa milioni di impiegati pubblici e privati: in Italia, il consumo di pasti fuori casa vale circa 80 miliardi di euro, un terzo del fatturato se pensiamo al totale di 250 miliardi di consumi alimentari.
E nella situazione di emergenza si genera – mediaticamente – una sorta di gara per assegnare il premio a chi ha sofferto di più. Al contrario, da imprenditori del settore non possiamo che fare una riflessione: sarebbe interessante capire quali realtà imprenditoriali potranno reagire più agevolmente.
Forse le grandi aziende specializzate nella vendita alla grande distribuzione? Che però le previsioni vedono in crisi da settembre per via di un calo del potere di acquisto dovuto all’impoverimento delle famiglie.
Che siano invece le filiere di qualità, eccellenze del Made in Italy, inizialmente le più colpite ma oggi nuovamente trainate dalla riapertura dei mercatiinternazionali e dal ritorno degli avventori nei ristoranti e dal miglioramento del flusso turistico estero? Una sola certezza, al momento nessuno prospera.
Dall’altro lato della medaglia, i consumatori dello stivale sembrano privilegiare i prodotti nostrani: secondo Nielsen infatti l’l'82% degli italiani ha un carrello della spesa con prodotti del tricolore.
Sempre secondo i dati raccolti, il mercato interno di prodotti alimentari ha raggiunto il valore record di 7,1 miliardi, pari al 25% degli alimenti sugli scaffali.
Per non lasciare parole sospese e dargli spessore facciamo qualche esempio: il manzo italiano si è affermato a discapito di quello inglese, crollati del 38%; ha perso anche lo champagne francese, che registra un meno 24%; segno negativo anche per la frutta esotica come il mango in calo del 40%.
Ma torniamo a noi, esportazioni dicevamo. Il primo grido d’allarme è di pochi mesi fa, aprile. L’export infatti segnava un calo a doppia cifra, frutto tra le altre cose, dell’effetto criminalizzazione del prodotto italiano. Tra chi richiedeva certificati virus-free e chi bloccava le merci in transito facendole deperire, si è generata una paura scientificamente infondata che ha creato un’onda d’urto tale da figurare come campagna contro i prodotti alimentare italiani che pure non avevano nessun ruolo nella trasmissione del virus. Paure placate solo dall’intervento dell’Efsa e simili organismi internazionali che hanno dichiarato illegittime tali accuse.
Eppure, il danno è fatto.
Pietro Marcato Presidente Confimi Industria Alimentare