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“Il cibo è il miglior vaccino contro il caos” parola di Premio Nobel

«Sentiti ringraziamenti al Comitato dei Nobel per aver onorato il Wfp con il premio per la pace. Questo ricorda in maniera potente al mondo che pace e zero fame vanno di pari passo». Così in un tweet il Programma alimentare mondiale ha ringraziato l'organizzazione norvegese per il prestigioso premio ricevuto. Ci riflettevo nel fine settimana, complice una piovosa e grigia giornata autunnale. E l'assegnazione del Nobel per la Pace al World Food Programme ha senz'altro stuzzicato la mia curiosità e la voglia di approfondire.

Un'organizzazione mondiale che distribuendo cibo, fornisce prospettive di vita migliore, supporto - anche finanziario - a piccole comunità o famiglie che solo tramite questo aiuto riescono a sopravvivere agli eventi che ogni giorno le minacciano. Un’organizzazione umanitaria – la cui sede abbiamo l'onore di ospitare nel nostro paese - supporta oggi circa 100 milioni di persone in 88 diversi paesi in difficoltà.

Ho ascoltato le dichiarazioni del presidente del WFP e sono stato colpito dalla scelta attenta delle parole, un discorso equilibrato, pensato e misurato in ogni parola per non urtare la suscettibilità dei sistemi politici che governano i paesi coinvolti nelle attività del WFP tantomeno dei paesi finanziatori.

Mi è chiaro che questo sia un programma “di emergenza”, volto a colmare le mancanze di alcuni Paesi, soprattutto nei continenti più popolosi come Africa e Asia, che per vicissitudine storiche, incapacità di programmazione, crisi economiche, sanitarie e governative o ancor più a causa di eventi straordinari - come siccità e inondazioni - non riescono a supportare le proprie popolazioni.  

Un'organizzazione sempre più necessaria in quanto decennio dopo decennio le crisi si fanno sempre più acute.

Crisi planetarie che sono, a mio avviso, “punte di iceberg” che stigmatizzano i gravi problemi che affliggono l’umanità. Raggiunti ormai i 7 miliardi di abitanti e uno sviluppo tecnologico impressionante, cresciuto rapidamente fin dal secolo scorso, il pianeta terra mal sopporta questo primate così aggressivo e invadente che sta velocemente compromettendo l'equilibrio ambientale, il clima e la sua stessa sopravvivenza.

Non mi soffermerò oltre sulle cause di questa deriva, vorrebbe dire addentrarsi nella sfera politica, religiosa, sociale dei vari paesi, un complesso aggrovigliato di equilibri che a fatica regolano il vivere quotidiano di tutti noi.

Vorrei tuttavia limitarmi a una breve riflessione sulla produzione degli alimenti che, con l'incremento della popolazione mondiale e il miglioramento degli standard di vita di un’importante parte di essa, deve necessariamente essere incrementata, mese dopo mese, a scapito di ecosistemi naturali già oggi in precario equilibrio.

Riflessioni oggi all'ordine del giorno ma che non rientravano negli interrogativi di politici e governi della mia gioventù, impegnati nel fronteggiare gli ultimi fuochi della guerra fredda o l’estremismo politico che ferocemente mieteva vittime nel nostro paese.

Al tempo – ma praticamente ieri – la disponibilità di risorse e derrate alimentari sembrava essere infinita: bastava destinare alle culture qualche migliaio di ettari in più e con l'utilizzo di fertilizzanti e della chimica in generale si garantiva un surplus di produzione.

Il gioco era fatto e il meccanismo rispondeva esattamente alle richieste del ricco consumatore occidentale che pretendeva prodotti sempre più piacevoli e ricchi ma a scapito dei delicati equilibri naturali del nostro pianeta  Ne sono un buon esempio l'olio di palma, non molto costoso ma prezioso per dare quel tocco in più a biscotti o creme al cacao o i pregiati tagli di carne bovina che hanno dato il via a un incredibile aumento di allevamenti in ogni parte del mondo.

Per contro, in alcuni contesti, erano gli stessi sistemi politici che regolavano – limitandolo - il consumo di alimenti pregiati.  Per non cadere nel “già sentito”, facendo appello alla memoria collettiva di chi come me in quegli anni ne ha avuto esperienza diretta, penso alle politiche di export alimentare dei Paesi dell’est Europa: ricordo in Romania allevamenti di polli di cui agli autoctoni rimanevano solo ali e zampe mentre “petto e coscia” volavano oltre confine per fare cassa. Pochi anni fa, eppure era un altro mondo: eravamo 4 miliardi di persone e probabilmente poco attente agli effetti collaterali.

Oggi la dimensione e la consapevolezza delle complessità legate al tema della fame nel mondo sono differenti. Alcune problematiche poi ci stanno letteralmente esplodendo sotto i piedi. Prendiamo la produzione di cereali: oggi è abbondante, quasi da record, ma ricordate il 2011 e il 2012? Una combinazione di fattori, tra cui una terribile diffusa siccità, portarono pericolosamente a una riduzione delle scorte mondiali di grano. L'immediata conseguenza? Un prezzo che in pochi mesi aumentò del 250% gettando scompiglio in tutti i paesi e generando non poche crisi aziendali, colpendo, ad esempio, i produttori di pasta.

È ormai certo che i consumatori più consapevoli premiano le aziende che tendono a rispettare maggiormente l'ambiente, preferendole a quelle che rilasciano nell'atmosfera o nel sottosuolo ogni genere di residuo o di quei prodotti la cui fabbricazione ha contribuito a deforestare aree immense del pianeta. Consapevolezza che sembra oggi fare breccia in fasce sempre più ampie di cittadini e da un importante contributo, anche se indiretto, alla soluzione del nostro problema. Direzione che noi produttori non possiamo ignorare.

Dunque, dove stiamo andando? Proprio progettare e indicare la direzione è il ruolo delle migliaia di piccole e medie imprese alimentari. 

Il Governo Conte ha oggi importanti risorse, una nuova e ingente disponibilità d’investimento effetto della grave crisi provocata dal Coronavirus, fondi che ci aspettiamo – come ci viene ripetuto da mesi - siano investiti per la crescita e l’ammodernamento del paese, “una svolta epocale” che vogliamo vedere tradotta in realtà.

Noi non siamo multinazionali con grandi risorse e centri di ricerca che impiegano centinaia di tecnici ma siamo per definizione intuitivi, flessibili, abituati al cambiamento e dobbiamo agire stando in prima fila, insieme agli altri asset del paese. Vedo con chiarezza che innovazione tecnologica, rispetto dell’ambiente, sostegno alle popolazioni piegate dalle difficoltà non sono altro che segmenti di un'unica strada che l’umanità deve percorrere per superare anche questo secolo.   Pietro Marcato Presidente  Confimi Industria Alimentare 
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