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Ordinare il pranzo a domicilio

Altroconsumo ha realizzato un’inchiesta sulla sicurezza alimentare e l’efficienza del servizio delle principali piattaforme di food delivery. La rivista si è messa nei panni di normali utenti e, tra giugno e agosto 2020, ha ordinato 60 piatti dai ristoranti di Milano e Torino che comparivano in lista sui siti dei principali operatori. Sono stati ordinati 13 piatti per ogni piattaforma (Deliveroo, Glovo, Just Eat e Uber Eats) e 4 per quelle locali (MyMenu e Eat in Time). La scelta si è orientata su alcune pietanze fredde e tre calde, avendo l’accortezza di precisare al momento dell’ordine un problema di allergia alla soia (per sushi, poke e riso alla cantonese) e all’uovo (per hamburger, insalata mista e kebab). All’arrivo dei piatti è stata misurata la temperatura e sono state fatte analisi nel laboratorio dell’Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta dove ha sede il CReNaRiA (Centro per la rilevazione di sostanze che provocano allergie e intolleranze negli alimenti). Oltre alla presenza di allergeni Altroconsumo ha verificato la temperatura al momento della consegna e la carica microbica di ogni piatto per valutare eventuali problemi igienici.

La rivista ha appurato quanto sia difficile per chi soffre di un’allergia utilizzare il servizio di consegna a domicilio. La lista degli ingredienti riportata nei menu non sempre compare sull’applicazione e, nella maggioranza dei casi non è stato possibile deselezionare gli ingredienti. L’altro elemento da sottolineare è che nei menu gli allergeni non sono evidenziati, come invece prevede la legge. Quanto alla possibilità di comunicare la propria allergia, ogni piattaforma fa un po’ a modo suo: c’è chi mette a disposizione uno spazio e chi  consiglia di chiamare il ristorante. Il risultato finale è che in 18 casi su 60, i piatti contenevano uova o soia come ingrediente o in tracce. L’esito non è certo entusiasmante visto che in 15 di questi si era riusciti, in un modo o nell’altro, a indicare espressamente di essere allergici, mentre negli altri tre casi non è stato possibile mettersi in contatto con il ristorante per comunicarlo.

La temperatura media rilevata per i piatti freddi è stata di 23,5 °C, che è un po’ alta: considerando che dovrebbe essere intorno ai 10°C. Per quanto riguarda i piatti caldi le cose vanno meglio visto che la metà ha registrato temperature superiori ai 50°C (la norma prevede 60°C). Il laboratorio ha ricercato anche la presenza di coronavirus sulle confezioni senza trovarlo. Alla fine per quanto attiene la sicurezza microbiologica, si contano 23 consegne giudicate insufficienti su 60, anche se è doveroso precisare che in nessun caso si sono riscontrati problemi che avrebbero potuto causare intossicazioni o disturbi di salute. La presenza di batteri è stata presa come riferimento per un giudizio di scarsa igiene e freschezza per i cibi conservati male.

Il food delivery è stato valutato anche per quanto riguarda la qualità del servizio. Altroconsumo ha fatto 130 ordini (a luglio 2020) in quattro città (Roma, Milano, Torino e Napoli) tramite l’app di sette piattaforme valutando l’assortimento, l’opportunità di scelta, l’efficienza della consegna (puntualità, condizioni delle pietanze e costi). Tra le piattaforme che operano a livello nazionale la prima in classifica è Glovo, seguita da Deliveroo, Just Eat e Uber Eats che si aggiudicano comunque un buon giudizio. Fra le minori, che collaborano con meno ristoranti nelle città oggetto dell’indagine, hanno meno filtri e costi di consegna maggiori, troviamo al primo posto Foodys, al secondo Mymenu e, infine, Eat in Time tutte e tre con giudizi inferiori rispetto alle altre.

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