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La Danimarca vuole creare un’etichetta ambientale per il cibo: è il primo Paese a farlo

Lo scorso 16 aprile Rasmus Prehn, ministro per il Cibo, l’agricoltura e la pesca della Danimarca ha annunciato un’iniziativa che pone il paese all’avanguardia nella lotta ai cambiamenti climatici: lo stanziamento di 1,2 milioni di euro per finanziare lo studio di un’etichetta ambientale degli alimenti, nell’ambito di un progetto che durerà fino alla fine del 2022. Di questo genere di etichette che indicano l’impatto ambientale si parla da tempo, e al momento sono in corso diverse sperimentazioni, ma nessun paese, finora, aveva mai tradotto le intenzioni in gesti concreti, sponsorizzati dai governi.

Lo fa ora la Danimarca, per venire incontro al desiderio dei cittadini di fare scelte più green che è stato espresso da sei danesi su dieci in un recente sondaggio pubblico. L’iniziativa si inserisce in un solco che ha già vissuto alcuni passaggi importanti. Per esempio, l’anno scorso per la prima volta l’impronta della CO2 è entrata a far parte delle linee guida nutrizionali, con l’invito ad aumentare il consumo di alimenti vegetali e a diminuire quello di carne. Secondo i calcoli fatti, se i danesi di età compresa tra i 6 e i 64 anni seguissero quelle linee guida, potrebbero diminuire la propria impronta di carbonio tra il 31 e il 54%. Ma aderire a questo consiglio non è affatto facile, senza un aiuto: in un’altra indagine che ha coinvolto oltre 1.100 cittadini, solo due persone hanno espresso valutazioni corrette su otto alimenti comuni, mentre tre su quattro hanno ammesso di essere in difficoltà in questo genere di giudizi. Da qui l’esigenza delle etichette ambientali.

I risultati dei lavori dovrebbero essere resi noti prima della fine dell’anno, in linea con gli obiettivi europei per le emissioni zero entro il 2050. Ma c’è anche un’altra motivazione che ha spinto il governo ad agire, sottolineata in un articolo di FoodNavigator: la volontà di evitare che compaiano sul mercato etichette ambientali differenti, che confonderebbero i consumatori e, in definitiva, sarebbero controproducenti. Ne sono state infatti già proposte di vario tipo. C’è l’Eco-Score, che utilizza una scala a cinque lettere, dalla A alla E, e cinque colori, dal rosso al verde, focalizzato sul consumo di risorse necessarie a produrre un certo alimento. C’è anche il Planet-Score, anch’esso con una scala di cinque lettere e cinque colori, incentrato sui pesticidi, sulla biodiversità, sul clima e sul benessere animale. Entrambe le etichette sono state messe a punto in Francia. Oltre a queste ce n’è anche una proposta da Foundation Earth, con il contributo di multinazionali come Nestlé e Tyson Food, ed è probabile che nei prossimi mesi ne siano suggerite di analoghe in altri paesi.

Esistono diversi tipi di impatto ambientale, e molteplici modi per quantificarli: la questione è dunque assai complessa, e si presta a interpretazioni differenti. Per questo, l’unico modo per evitare la proliferazione delle etichette ambientali sarebbe adottare un modello unico a livello comunitario. Per ora però la Commissione Europea non sembra intenzionata a muoversi in questa direzione, né a rendere obbligatoria l’etichetta ambientale. Anche in Danimarca sarà comunque su base volontaria, e i rivenditori si sono detti generalmente d’accordo, a patto che il sistema sia credibile e chiaro. Secondo le previsioni, grazie ai due provvedimenti – linee guida ed etichette – l’impronta dei danesi diminuirà del 70% entro il 2030, per quanto riguarda il cibo. 

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