Giovani imprenditori, 1 su 2 prevede espansione all’estero. Il 20% è di prima generazione, imprenditori per passione
Li chiamano giovani imprenditori perché non hanno ancora compiuto 40 anni eppure quasi il 70% di loro lavora da 10 anni o più. 1 su 5 inoltre è un imprenditore di prima generazione e ha scelto di esserlo per passione.
“Figli di papà”? Niente affatto, 1 su 3 dopo essersi laureato ha conseguito un master e più del 60% ha preferito farsi le ossa in altre realtà, mentre una buona parte è volato all’estero per motivi di studio (il 42%) o per esperienze lavorative (17%).
Chi avrebbe ereditato un’azienda di famiglia ha sì privilegiato studi pertinenti all’attività già avviata dai predecessori ma non si è seduto sugli allori: l’84 dei giovani imprenditori ha infatti preferito maturare esperienza lontano dalla fabbrica di famiglia, una palestra che per la quasi totalità degli intervistati si è rivelata decisamente utile una volta fatto ingresso nella propria attività.
È la fotografia scatta dal Centro Studi di Confimi Industria che ha intercettato imprenditrici e imprenditori under40 della Confederazione delle piccole e medie imprese del manifatturiero italiano privato.
Parlando della situazione attuale le nuove leve del Made in Italy sembrano abbastanza soddisfatte del ruolo che esercitano in azienda: il 97,2% dichiara di avere autonomia decisionale nel ruolo che ricopre. Posizioni che sembrano rispecchiare anche le reali aspettative è così almeno per l’86%. Inevitabile “la pressione” del contesto familiare: avvertita in maniera piuttosto forte da 1 su 4.
Il campione si frammenta se si parla del futuro. Del resto, la nuova generazione – inutile negarlo – è entrata in azienda in un periodo storico caratterizzato dal susseguirsi di crisi di diversa natura: quella finanziaria del 2008 che è durata quasi 5 anni, l’instabilità governativa, la pandemia, la crisi energetica solo per citarne alcune.
A parlare dei dati raccolti dal Centro Studi in una indagine condotta nel mese di dicembre 2021 è Fabio Ramaioli, Direttore Generale di Confimi Industria. “Le previsioni sul futuro della manifattura inducono a una seria riflessione considerato anche le numerose difficoltà di scenario: poco più di un giovane imprenditore su tre (il 33,9%) ha pensato di vendere o cedere l'attività e poco più di 1 su 4 lo farebbe se fosse l’unico titolare. C’è invece quasi un 40% (37,3%) che avrebbe effettuato una fusione”.
“C’è poi chi ispirato a innovativi modelli di relazioni industriali – sottolinea Ramaioli – ha pensato di creare una compartecipazione societaria con i collaboratori attualmente dipendenti. E parliamo del 28% degli intervistati”.
I più giovani si sa vorrebbero lasciare fin da subito la propria impronta e, sul podio delle azioni più condivise per farlo figurano: l’espansione all’estero (50%), l’apertura di nuove filiali in Italia (40%), lo sviluppo di nuovo prodotti o di una diversificazione della produzione stessa (86,7%).
Passaggio generazionale? Tre gli scogli maggiori: il riconoscimento della leadership da parte dei collaboratori, l’assenza di deleghe da parte dei predecessori e, su tutte, la mancanza di autonomia decisionale su quelle tematiche dove la cultura è maggiore rispetto ai familiari, come può essere il caso della tecnologia.
Ma non si tratta solo di avvicendamenti familiari: 9 giovani imprenditori su 10 ritengono che il passaggio generazionale sia da affrontare anche tra i dipendenti.
I più giovani sembrano comunque ricercare lo spirito della vita associativa. “Mi vien da dire che l’associazionismo proprio come l’azienda, si tramanda” spiega il DG di Confimi Industria osservando i dati “Poco meno della metà del campione (47%) fa vita associativa sul territorio da almeno 5 anni e, se la partecipazione inizialmente derivava dal seguire le orme di chi li precedeva in azienda oggi i giovani imprenditori dichiarano di far parte della Confederazione e delle sue espressioni territoriali perché crede nel fare rete con le altre realtà del territorio nelle quali vedono colleghi e opportunità e non dei competitor” chiude Ramaioli.
“Figli di papà”? Niente affatto, 1 su 3 dopo essersi laureato ha conseguito un master e più del 60% ha preferito farsi le ossa in altre realtà, mentre una buona parte è volato all’estero per motivi di studio (il 42%) o per esperienze lavorative (17%).
Chi avrebbe ereditato un’azienda di famiglia ha sì privilegiato studi pertinenti all’attività già avviata dai predecessori ma non si è seduto sugli allori: l’84 dei giovani imprenditori ha infatti preferito maturare esperienza lontano dalla fabbrica di famiglia, una palestra che per la quasi totalità degli intervistati si è rivelata decisamente utile una volta fatto ingresso nella propria attività.
È la fotografia scatta dal Centro Studi di Confimi Industria che ha intercettato imprenditrici e imprenditori under40 della Confederazione delle piccole e medie imprese del manifatturiero italiano privato.
Parlando della situazione attuale le nuove leve del Made in Italy sembrano abbastanza soddisfatte del ruolo che esercitano in azienda: il 97,2% dichiara di avere autonomia decisionale nel ruolo che ricopre. Posizioni che sembrano rispecchiare anche le reali aspettative è così almeno per l’86%. Inevitabile “la pressione” del contesto familiare: avvertita in maniera piuttosto forte da 1 su 4.
Il campione si frammenta se si parla del futuro. Del resto, la nuova generazione – inutile negarlo – è entrata in azienda in un periodo storico caratterizzato dal susseguirsi di crisi di diversa natura: quella finanziaria del 2008 che è durata quasi 5 anni, l’instabilità governativa, la pandemia, la crisi energetica solo per citarne alcune.
A parlare dei dati raccolti dal Centro Studi in una indagine condotta nel mese di dicembre 2021 è Fabio Ramaioli, Direttore Generale di Confimi Industria. “Le previsioni sul futuro della manifattura inducono a una seria riflessione considerato anche le numerose difficoltà di scenario: poco più di un giovane imprenditore su tre (il 33,9%) ha pensato di vendere o cedere l'attività e poco più di 1 su 4 lo farebbe se fosse l’unico titolare. C’è invece quasi un 40% (37,3%) che avrebbe effettuato una fusione”.
“C’è poi chi ispirato a innovativi modelli di relazioni industriali – sottolinea Ramaioli – ha pensato di creare una compartecipazione societaria con i collaboratori attualmente dipendenti. E parliamo del 28% degli intervistati”.
I più giovani si sa vorrebbero lasciare fin da subito la propria impronta e, sul podio delle azioni più condivise per farlo figurano: l’espansione all’estero (50%), l’apertura di nuove filiali in Italia (40%), lo sviluppo di nuovo prodotti o di una diversificazione della produzione stessa (86,7%).
Passaggio generazionale? Tre gli scogli maggiori: il riconoscimento della leadership da parte dei collaboratori, l’assenza di deleghe da parte dei predecessori e, su tutte, la mancanza di autonomia decisionale su quelle tematiche dove la cultura è maggiore rispetto ai familiari, come può essere il caso della tecnologia.
Ma non si tratta solo di avvicendamenti familiari: 9 giovani imprenditori su 10 ritengono che il passaggio generazionale sia da affrontare anche tra i dipendenti.
I più giovani sembrano comunque ricercare lo spirito della vita associativa. “Mi vien da dire che l’associazionismo proprio come l’azienda, si tramanda” spiega il DG di Confimi Industria osservando i dati “Poco meno della metà del campione (47%) fa vita associativa sul territorio da almeno 5 anni e, se la partecipazione inizialmente derivava dal seguire le orme di chi li precedeva in azienda oggi i giovani imprenditori dichiarano di far parte della Confederazione e delle sue espressioni territoriali perché crede nel fare rete con le altre realtà del territorio nelle quali vedono colleghi e opportunità e non dei competitor” chiude Ramaioli.