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Agnelli (Confimi Industria) su caos energia: "Manifattura italiana in pericolo. Troppi i sì detti all'Europa"

“Le imprese italiane si ritrovano in ginocchio non per loro errore ma a causa di decisioni avventate, intraprese senza nessuna visione economica o strategia di futuro”. Così Paolo Agnelli industriale e presidente di Confimi Industria constatando l’immobilità politica, nazionale e no, di fronte allo shock energetico che sta paralizzando l’economia europea. 

“Europa sì. Sempre” rassicura Agnelli ma sottolinea “L’Italia è uno degli stati fondatori dell’Unione Europea, ha una visione europeista; eppure, abbiamo un atteggiamento di sudditanza verso le istituzioni europee”. “Il nostro debito pubblico è alto, è vero, ma siamo un paese contribuente ed è tempo di far sentire la nostra voce”. 

“L’Unione Europea non ha una politica comune, non ha studiato un piano industriale, non ha sviluppato una politica energetica. Con tutte queste lacune, perché ci sentiamo in dovere di dire sempre sì a tutto quello che ci viene proposto da Bruxelles?” provoca Agnelli. 

“La realtà è che siamo un insieme di Stati con situazioni diverse una dall’altro: fiscalità differenti che in alcuni stati (Svezia, Danimarca, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Romania) riguardano anche la moneta, sistemi di approvvigionamento energetici differenti che hanno portato a intraprendere decisioni diversificate per fronteggiare la crisi – come nel caso di Spagna e Portogallo – paesi che hanno intrapreso decisioni differenti in termini di investimenti e sostenibilità alimentandosi a carbone o con il nucleare. Il tutto con alla base differenti sistemi produttivi: qualcuno a forte vocazione manifatturiera, qualcun altro no”.

“Nella staticità europea trova adagio anche l’Italia: siamo vergognosamente assenti dall’intraprendere qualsiasi iniziativa strategica in campo energetico, per esempio, condizionati dai fornitori nazionali (come Eni) semi privati che operano del tutto in regime di monopolio”.

“Ma in questo sistema congestionato, sono le imprese a risentirne” chiosa il presidente di Confimi. “Non siamo in grado di resistere ad un prezzo energetico di tale entità, non resistiamo alle sanzioni, siamo privi di materie prime. Siamo un paese di trasformazione. E accettare passivamente ogni decisione, vuol dire condannare la nostra economia manifatturiera alla chiusura, o davvero non si vuol capire dove stiamo andando?

“Salvare il proprio paese non vuol dire essere antieuropeisti, putiniani o sovranisti. Vuol dire essere responsabili”.

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