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Imprese femminili, il credit gap solo per una donna su 10. Frasca (Gruppo Donne Confimi): serve un percorso di "avviamento all'impresa"

Hanno investito nel digitale (+14%) e nel green (12%), lo hanno fatto per lo più nel Mezzogiorno, privilegiando l’industria al mondo dell’artigianato. Sono le nuove imprese femminili, quelle nate dopo la pandemia e che vogliono perseguire la doppia sfida (non solo) europea della transizione ecologica e digitale.

Poi ci sono le capitane d’impresa, il cui numero negli ultimi anni è cresciuto a doppia cifra tanto da rappresentare oltre il 22% dell’impresa privata italiana. Più piccole nelle dimensioni e nel fatturato rispetto ai colleghi uomini, un’indole prudente e un credit gap alle spalle. 

A partire da questa fotografia il Gruppo Donne di Confimi Industria ha chiamato attorno a un tavolo di discussione le principali figure del “credito”, istituzioni e professionisti con cui ogni giorno le imprenditrici dialogano per portare avanti e far crescere le loro attività.

“Credit score, strumenti per le imprenditrici in banca” è infatti il titolo dell’appuntamento che ha visto ABI, ANC – Associazione nazionale dei Commercialisti, gli avvocati di Tonucci&Partners e molti altri attori confrontarsi sul rapporto più o meno conflittuale che hanno le imprenditrici con il credito.

A introdurre i lavori Vincenza Frasca, presidente del Gruppo Donne di Confimi: “La cultura imprenditoriale femminile in Italia ha fatto passi da gigante con il nuovo millennio basti pensare che solo una imprenditrice su dieci lamenta difficoltà riguardo l’accesso alle risorse finanziarie. Ma è anche vero che più del 40% ricorre a capitali personali per avviare la propria impresa” spiega Frasca.

“Differente infatti è l’approccio al credito di chi si appresta a intraprendere il mestiere di imprenditrice e chi lo esercita da alcuni anni; eppure, se parliamo di formazione continua o di un supporto consulenziale, le imprenditrici non hanno dubbi: quasi il 40% parla di budgeting (38,7%), e un altro 30% di elaborazione di piani di sviluppo (33,5%)” ha sottolineato la presidente del Gruppo Donne.

I dati del Gruppo Donne di Confimi Industria confermano quelli di Unioncamere: le imprese avviate da donne hanno vita più breve, quasi il 20% chiude dopo 3 anni dall’avvio, percentuale che supera il 30% dopo il quinto anno di attività.

A illustrare diversi casi studio proprio lo Studio Tonucci & Partners, che dallo scorso 8 marzo ha attivato il D-Desk, uno sportello di consulenza dedicato alle donne che fanno o vogliono fare impresa, su cui l’avvocato Ermanno Sgaravato si è basato per dare alcuni suggerimenti: “Dopo le nuove linee guida Eba del maggio 2020 sono intervenuti radicali cambiamenti in tema di valutazione del merito creditizio da parte delle banche. Il credito non va concesso solo sulla base di garanzie reali, ma soprattutto in base alla capacità dell’impresa di dimostrare la sua idoneità a produrre adeguati flussi di cassa prospettici che consentano il ripagamento del debito”. Per raggiungere il rating assegnato a un’impresa “si deve partire dall’analisi di bilancio per analizzare il merito creditizio ed è importante, quindi, predisporre accurati e realistici business plan".

Ma questa fragilità “bancaria”, questo credit gap, è pronto ad essere azzerato grazie all’impegno messo in campo da ABI e da quegli istituti di credito che per rispondere alle sfide del PNRR e per avvicinarsi sempre più al sistema produttivo del paese hanno profilato degli strumenti ad hoc, come ha avuto modo di delineare Francesca Macioci, Ufficio Credito e Sviluppo dell’Associazione Bancaria Italiana.

Ed è proprio all’ABI che la presidente del Gruppo Donne di Confimi Industria, Vincenza Frasca, si è rivolta nel concludere i lavori. “Ci auguriamo che si possa presto realizzare insieme un percorso di avviamento all’impresa femminile, volta a fornire tutti gli strumenti necessari a una donna che vuol diventare imprenditrice di sé stessa”.

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