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Continuità generazionale in azienda: i giovani imprenditori prediligono un modello partecipativo e non basato sul profitto.

La staffetta generazionale che per anni ha caratterizzato le PMI è oggi sulla via del tramonto. Si parla infatti di continuità aziendale e il testimone non è necessariamente da passarsi – come si suol dire – di padre in figlio.

È quanto emerge da un’indagine realizzata dal Gruppo Giovani di Confimi Industria e da Fondazione Imprendi su di un campione di 200 aziende a conduzione familiare. Ad essere intervistati, singolarmente e senza interrelazione, due differenti gruppi: i senior, oggi alla guida della propria azienda, e i junior, a loro volta suddivisi tra imprenditori alle prime armi e manager navigati.

E se la fiducia del genitore sulle capacità dei figli di dare continuità all’azienda di famiglia è ancora saldamente in cima alle risposte, si fa strada – in 1 caso su 3 – la possibilità che l’azienda prosegua grazie al coinvolgimento dei collaboratori.

Nonostante il desiderio è che “tutto resti in famiglia”, gli imprenditori non sembrano avere una ricetta comune sulla formazione della generazione che seguirà: c’è chi avvia la formazione dei propri figli in età da liceo (17%), chi durante gli studi universitari (20%), chi al termine degli studi universitari (11%) ma c’è perfino chi preferisce affrontare il tema del passaggio di consegne a ridosso delle trenta candeline dei figli.

Le idee sembrano invece essere più chiare sulle esperienze professionali da maturare: più del 75% ha risposto che la formazione all’imprenditorialità debba essere esterna alla famiglia, con il supporto di professioni terzi alla propria dimensione aziendale.

Imprenditori si è per sempre. L’ostacolo più grande, infatti, sembra – per gli imprenditori senior – lasciare totalmente le redini alla nuova generazione. La pianificazione della successione in media si colloca a 58-60 anni ma raggiunge picchi di 70. Un periodo di continuità e di passaggio di consegne che dura tra i 5 e i 10 anni.

Nonostante si parli di nuova o giovane generazione, gli imprenditori credono che i propri figli siano maturi per un passaggio tra i 35 e 40 anni di età. Di certo, la quasi totalità del campione rispondente riconosce nei figli una predisposizione a modelli di business improntati alla sostenibilità e alla transizione digitale.

Ma cosa ne pensa davvero la nuova generazione d’imprenditori? Pochi i dubbi in merito, la carriera imprenditoriale piace e molto. Ma non si può intraprendere con la sola scuola della vita in fabbrica: la formazione all’imprenditorialità e managerialità è ritenuta necessaria, così come il coinvolgimento nell’azienda di famiglia è bene che sia pianificato per tempo, ma non necessariamente il prima possibile.

L’indagine ha voluto indagare in termini valoriali i principali fattori di realizzazioni di chi si appresta ad essere o è da poco diventato la nuova generazione dell’impresa di famiglia.

Sul podio spiccano competenza, integrità ed onestà, passione e impegno. Tutti possibilmente impiegati non solo per generare profitto quanto per un benessere collettivo.

“Le aziende familiari sono quelle realtà dove il ruolo di imprenditore e quello di manager si confondono e sovrappongono, dove anche i confini tra famiglia e azienda non sempre sono ben delimitati” spiega Michele Ghibellini alla guida del Gruppo Giovani di Confimi Industria. “Conoscere il contesto e analizzarlo è per noi di primaria importanza perché è grazie alle indagini agli associati che possiamo redigere azioni concrete a supporto degli imprenditori, a qualsiasi generazione appartengano, per contribuire a superare con successo uno scoglio a volte percepito come insormontabile”.

“Nostro obiettivo – ha sottolineato Ghibellini – è quello di arrivare alla redazione di un vademecum, anche grazie all’esperienza e alla collaborazione dei professionisti di cui si avvale chi fa impresa - commercialisti, avvocati, notai –, per permettere agli imprenditori di essere sempre più parte attiva del variegato tessuto sociale e produttivo italiano”.

Tra i fattori legati all’impatto personale, infatti, i giovani privilegiano quello di “contribuire a migliorare la società”; mentre tra i fattori legati a lavoro e organizzazione i giovani privilegiano quello di “far parte di un gruppo di lavoro interessante”; in ultimo, tra i fattori economico-sociali i giovani privilegiano quello di “avere sicurezza economica”. Uno sguardo attento anche oltre i cancelli della propria attività: salute e benessere per le persone, istruzione di qualità per tutti, miglioramento delle condizioni di lavoro sono tra i loro obiettivi di impatto.

“Abbiamo pensato di fare un’indagine sulla “continuità aziendale” e non, più semplicemente, sulla “successione familiare” ipotizzando la possibilità di altri percorsi. La Survey ha fatto emergere infatti la possibilità di percorsi di continuità basati anche sul coinvolgimento di collaboratori” ha sottolineato Moreno Muffatto, Presidente della Fondazione Imprendi.

“Un ulteriore elemento distintivo dello studio è l’effettuazione di due survey in parallelo – ha ricordato Muffatto - una, sui genitori, l’altra, sui figli degli stessi. Da questo punto di vista la continuità aziendale potrebbe accompagnarsi ad una “discontinuità” sui valori e le motivazioni. È pertanto assolutamente rilevante capire su quali valori poggiano oggi i giovani e quali motivazioni li muovono. L’impresa del domani non è la stessa che hanno conosciuto i genitori”.

Trovi qui il report completo della survey 

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