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Intervista al Presidente Paolo Agnelli sulla rivista Aniem

Confimi Industria e un nuovo modello di rappresentanza

Paolo Agnelli: sono le piccole e medie industrie la spina dorsale del nostro Paese e possiedono
conoscenze e competenze potenzialmente capaci di farle crescere e di creare posti di lavoro di
qualità

Competenze e commesse. Due le parole utili a racchiudere lo scenario che si cela dietro la ripresa
economica del Paese. Partendo dalle recenti parole del Capo dello Stato Sergio Mattarella “La
capacità delle imprese italiane di competere e affermarsi sui mercati internazionali è un patrimonio
del Paese che va riconosciuto e valorizzato”, sentiamo come Paolo Agnelli, Presidente di Confimi
Industria, Confederazione dell’industria manifatturiera e dell’impresa privata, le interpreta nel suo
ruolo di industriale.

PA – Sono state soprattutto le piccole e medie industrie di questo Paese ad essere il vero welfare
dell'Italia in questi anni di maratona nel deserto della crisi, e sono sempre loro che continuano a
soffrire il mancato rilancio dell’economia italiana. Sono la spina dorsale del nostro Paese e
possiedono conoscenze e competenze potenzialmente capaci di farle crescere e di creare posti di
lavoro di qualità. E dico potenziali perché per far sì che gli imprenditori - gli industriali tutti -
promuovano la responsabilità sociale d'impresa diventano reali partner degli aspetti sociali e
ambientali di questo Paese. Non è possibile infatti che le industrie italiane si trovino a dover
competere sui mercati internazionali con tasse che quadruplicano l’energia, triplicano il costo del
lavoro, con tasse sugli immobili produttivi, e ancora tasse sui macchinari fissati a terra, e quelle sugli
interessi pagati in banca e mi fermo qui perché da imprenditore che resta in Italia mi aspetterei
politiche economiche a reale sostegno delle imprese. Vedere che per corteggiare l’Europa
affamiamo milioni di italiani (4 milioni, tra giovani e non, sono disoccupati e circa 9 milioni vivono
sulla soglia della povertà). Solo chi minaccia di andarsene viene premiato, vedi in questi giorni
Lamborghini (gruppo Audi Volkswagen) con 80milioni di agevolazioni fiscali . Non ci sarà futuro per i
giovani italiani e per le imprese manifatturiere se non si disegna un piano industriale e si mette
mano ad una fiscalità che tassi gli utili e non il lavoro. Qui mi chiedo Sindacati e Associazioni perché
non protestano? Per molto meno i sindacati sono scorsi in piazza, magari per 75 euro lordi di
aumento, ma per tutelare i posti di lavoro? Non ci vuole una grande riflessione e spetta a noi a
provocarla.

Managerialità e internazionalizzazione sarebbero, secondo i più, le chiavi di volta per uscire da questo
empasse…

PA – Confimi, a due anni e mezzo dalla sua nascita, ha siglato protocolli con SIMEST, ICE e SACE
proprio nella direzione che lei indicava. E possiamo dire, a poco più di un mese dalla conclusione
della Prima Missione Istituzionale in Macedonia, di essere tra i protagonisti di un quadro economico
che crede nella rappresentanza come anello cardine tra le imprese e le istituzioni. In Macedonia
siamo stati capaci di creare un ponte tra domanda e offerta, reso possibile dalla volontà di creare
importanti relazioni economiche e fortemente voluto dalle istituzioni. In primis dall'Ambasciatore
d'Italia Ernesto Massimo Bellelli che si è adoperato per la miglior riuscita degli incontri, insieme agli
altri organizzatori degli uffici ICE Sofia e Skopje e all’Ufficio Nazionale Internazionalizzazione dConfimi Industria. La tre giorni della missione a cui ha preso parte una delegazione di 30 aziende
del sistema Confimi, ha dimostrato come, quando il “Sistema Italia” si attiva con determinazione
trova riscontro nell'interesse delle piccole e medie industrie a muoversi in rete, creando sinergia e
valore aggiunto, i risultati attesi possono e vengono raggiunti.

Una missione di successo?

PA - Oltre 100 gli incontri b2b organizzati tra le aziende italiane e le oltre 50 controparti macedoni,
a cui hanno fatto da eco i meeting con le istituzioni e gli enti pubblici. I rapporti commerciali tra
l’Italia e la Macedonia sono già molto buoni, ma ci sono ampi spazi per rafforzare la presenza delle
aziende italiane in quella regione, sia in termini di collaborazione commerciale che di investimento,
per concorrere allo sviluppo industriale del Paese, tenuto conto delle opportunità che il Paese offre.
Parliamo di meccanica strumentale, connessa alla produzione di beni di consumo, di macchine
tessili e del settore calzaturiero, macchine per la lavorazione del legno e mobili, macchinari per
l’industria alimentare e per la produzione di tutta la filiera agro-alimentare, inclusa la zootecnia.

Qual è quindi il plus delle industrie italiane?

PA – Le nostre sono industrie piccole e medie, ma grandi perché non è necessario essere grossi per
essere efficienti. Hanno un grande patrimonio di familiarità, flessibilità e passione; virtù che hanno
consentito di superare questi cinque anni di crisi in cui 600 mila imprese hanno dovuto chiudere i
battenti. Chi è arrivato a oggi è sano e ha voglia di lavorare.

Presidente il nome della confederazione di cui è a capo è cambiato da poco da Confimi Impresa e
Confimi Industria, perché questo passaggio?

PA - In questo contesto di forte crisi dei corpi intermedi passare da Impresa a Industria significa
identificare immediatamente il mondo da cui proveniamo, quello che rappresentiamo e i nostri
interlocutori. Sa che il 50% delle aziende non è associata a nessuno? Non è più possibile pensare
che il mondo industriale italiano sia identificato da un’unica voce, ma oggi più che mai serve un
nuovo modello che rappresenti in maniera chiara e libera, senza nessun conflitto di interesse, gli
industriali del manifatturiero italiano.

Un passaggio obbligato quindi. Una nuova rappresentanza di cosa? Di un nuovo modello
imprenditoriale?

PA - Scegliere Industria significa proseguire nella direttrice tracciata tre anni fa. La Confederazione
riunisce quasi 30.000 aziende che contano un fatturato aggregato di 70 miliardi di euro. Oggi
vogliamo parlare in maniera ancora più forte al settore che rappresenta e difenderne gli interessi in
maniera cristallina. Del resto le industrie che mandano avanti il Paese non sono solo i grandi colossi
ma le piccole e medie industrie che decidono nonostante politiche a volte sfavorevoli, dai costi del
lavoro a quelli dell’energia, d’investire in Italia e di non delocalizzare. Confimi Industria rappresenta
proprio questa schiera di imprenditori.

A proposito di interessi dell’industria manifatturiera, Presidente, in Europa stiamo vivendo una
situazione di stasi per quel che riguarda il rendere obbligatoria o meno l’etichettatura sull’origine di
provenienza dei prodotti non alimentari commercializzati in Ue, qual è la posizione di Confimi
Industria?

PA - Mettere a rischio il marchio Made in Italy manifatturiero è perdere oltre 100 miliardi di euro in
esportazioni. Il Made in Italy è la prima garanzia per il nostro manifatturiero. No possiamo scendere
a compromessi. Votare l’obbligo di indicare in etichetta il paese di provenienza della merce venduta
in Europa, non è una questione locale. Il decreto competitività al vaglio in Commissione Ue infatti
riguarda tutti i Paesi dell’Unione. Il problema è volerlo limitare a dei comparti, come calzature e
ceramiche. Per l’industria manifatturiera in Italia l’etichettatura è garanzia e riconoscimento di
qualità e di professionalità lungo tutta la filiera.

Un problema dai risvolti economico – politici?

PA – Certo. Essere in una minoranza in Europa, per questioni prioritarie per il nostro Paese come il
Made in Italy, riconosciuto come garanzia in tutto il mondo mette in dubbio la nostra sovranità.
Rendere obbligatorio il Made In vorrebbe dire muoversi in due direzioni. Da una parte impedirebbe
di lasciar intendere come europei, o peggio ancora italiani, prodotti magari scadenti realizzati
altrove, dall’altra permetterebbe al consumatore di operare una scelta consapevole al momento
dell’acquisto. Il Governo italiano e il Premier per primo ha già scritto al Presidente della
Commissione Ue Junker. Ottimo, ma non basta. Settori come calzature, tessile e moda, ceramica,
gioielleria, mobile e arredo, edilizia valgono oggi oltre 100 miliardi di esportazioni, chi si assumerà
un naturale calo delle commesse e quindi dei fatturati a seguito di questa brusca e irresponsabile
decisione?

Diverse le questioni in ballo sulla scena economica europea. Infatti non si parla solo di etichettatura
della merce, ma anche di brevetto e di tribunale unico europeo. Quali sarebbero i risvolti per le PMI?

PA – Esattamente, e in gioco c’è il futuro delle piccole e medie industrie. Il Governo italiano non
deve far validare l’adesione al Tribunale unificato dei brevetti perché quest’atto, tutt’oggi in via di
ratifica, stabilisce che tutte le controversie riguardanti i brevetti europei, in materia di validità e
contraffazione, saranno di competenza esclusiva di un’unica Corte con sede centrale a Parigi e due
distaccamenti diversificati per materie competenti. Uno a Londra, che si occuperà do di scienze
della vita, chimica e farmaceutica e uno a Monaco di Baviera, che avrà l’esclusiva per ingegneria e
meccanica. Ma non è solo una questione di volerci essere a tutti i costi, quanto piuttosto di una
salvaguardi della propria economia nazionale.

Ci spieghi meglio.

PA - Costringere le industrie italiane a difendersi in un Paese che usa un impianto legislativo
differente e una lingua non propria, crea nuovi costi insostenibili per le nostre PMI che vedranno lespese legali lievitare dalle 5 alle 30 volte. Non solo, aderendo all’accordo infatti può accadere che un’impresa italiana che vende i suoi prodotti in Germania, anche solo attraverso un distributore locale, sia citata per contraffazione davanti ad una Corte che ha sede in Germania, difendendosi in tedesco e secondo regole giuridiche di un altro sistema. La Corte potrà disporre sanzioni - fra cui il blocco della produzione e della vendita - il sequestro dei prodotti e dei conti bancari dell'impresa, per tutti i paesi aderenti all’accordo, e quindi anche per l’Italia. La stessa sorte avverrebbe se il
brevetto di un imprenditore italiano venisse fatto oggetto di un'azione di nullità da parte di un
imprenditore francese, tedesco, e inglese, costringendo l’imprenditore italiano a difendersi nelle
corti di cui parlavo prima. Siamo l’unica voce industriale a schierarsi dalla parte dell’industria
manifatturiera e dell’industria privata italiana, una possibile ratificazione rappresenterebbe solo un
nuovo empasse per le aziende italiane.

Presidente Agnelli, abbiamo tirato le fila di quella che è la situazione oggi della sua Confederazione,
cosa ha in serbo per domani?

PA – Domani? Intanto iniziamo con quella che abbiamo ribattezzato la “Leopolda dell’imprenditoria
italiana”. Leopolda nel senso di un laboratorio di idee, una fucina di buone riflessioni che, in una
sessione di due giorni punterà a riunire un migliaio di imprenditori, senza distinzione né
etichettatura.
Imprenditori e basta, quelli che costituiscono il tessuto produttivo nazionale, che dicano
apertamente quali sono le loro attese nell'Italia del dopo-crisi. Il tema centrale di questa,
passatemelo, costituente, sarà quello della rappresentanza sindacale. Il modello della
rappresentanza classico è in crisi, ed è materia di dibattito già da diversi anni, ed è un tema di
confronto che inevitabilmente chiama in causa anche il ruolo delle associazioni di categoria.
Osservare e discutere la realtà quotidiana indagando i protagonisti del mondo industriale è una
chiave d’interpretazione utile per leggere il domani.
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