Ma il cielo è sempre più blu
Ho indossato il velo ed è stata una delle più belle esperienze della mia vita.
Per chi se lo stesse chiedendo, la risposta è sì, sono una persona caritatevole, sono sempre stata predisposta ad aiutare gli altri. Mi viene persino rimproverato di essere “anche troppo disponibile”.
Ma facciamo un passo indietro. Così che possa raccontarvi di quando – per cinque giorni – a Lourdes ho vestito altri panni.
Gennaio 2017. Ravenna. Fam Srl. Fonderia di alluminio. In azienda gli ultimi strascichi della crisi finanziaria di quasi un decennio prima, di quel 2009 che aveva fatto registrare alla mia azienda (e al settore tutto) un duro colpo: -63% del fatturato.
Eppure, il 2017 lasciava intravedere un cambio di passo importante. Si stava uscendo da quel grosso buco nero e si prospettava un anno davvero buono e un aumento del fatturato di quasi un 20%.
Un cambio di passo che a volte, finanziariamente, può però creare degli squilibri. E in quel momento l’ago della bilancia aveva dei nomi e dei cognomi. Dei clienti che – anch’essi in difficoltà – non pagavano.
Feci una promessa a me stessa: se l’azienda fosse arrivata a metà anno senza troppo difficoltà avrei dedicato qualche giorno delle mie ferie a fare del volontariato.
A luglio le cose giravano nel verso giusto e iniziai a guardarmi attorno per dare atto al mio impegno. Chiesi a google.
Mi ritrovati sul sito dell’Unitalsi e fui incuriosita da un pellegrinaggio di 5 giorni a Lourdes. Era in programma per fine settembre, faceva al caso mio.
Nel leggere Lourdes, mi persi nei ricordi: ci ero già stata a 12 anni con i miei nonni, ma ero consapevole di averlo vissuto come una vacanza e non come un viaggio spirituale, ero troppo piccola per immedesimarmi con la potenza e il carisma del luogo.
Più leggevo del pellegrinaggio più mi convincevo che avrei potuto partecipare non solo come ospite ma come supporto agli organizzatori, volevo offrirmi come volontaria, essere utile a qualcuna di quelle migliaia di persone con disabilità che ogni anno raggiungono il posto.
“Vado a Lourdes ad accompagnare i disabili” dissi in casa. E c’è chi non se l’è fatto ripetere due volte e decise di accompagnarmi: la moglie di mio padre è una delle persone che ha maggiormente contribuito alla mia formazione professionale e personale, donna devota agli altri, decise infatti di aggregarsi. Contattammo l’Unitalsi di zona per la definizione di tutto.
Ci chiesero di andare a ritirare l’abbigliamento che avrebbe indossato lo staff.
E se nella mia testa – visto il mio trascorso di nuotatrice-pallanuotista - mi ero immaginata a scorrazzare le persone su e giù dal Santuario, spingere e tirare per le salite e le discese di Lourdes ogni sorta di lettiga, sedia a rotelle, rishow, mi sbagliavo di grosso. Con mia grande sorpresa, chiesero a me e a Bianca di fare le crocerossine.
Tradotto in pratica: turni di 8 ore (alternati tra mattina-pomeriggio-notte) all’interno di un ospedale internazionale, predisposto per accogliere a ogni piano persone di una differente nazione, in cui avremmo assistito sotto stretta direttiva di medici e infermieri anch’essi volontari gli ospiti-pazienti. Rifare i letti, pulizie di ogni genere e nel tempo rimanente, accompagnare al Santuario le persone disabili che volessero recarsi in preghiera.
Non posso nasconderlo, sono stati 5 giorni di intenso lavoro, ma è stata un’esperienza a dir poco indimenticabile. Vedere come il sorriso accompagni sempre anche in certe situazioni di salute fa veramente pensare a quanto - tanti di noi, tutti i giorni – si sia davvero fortunati.
In queste circostanze tocchi con mano come l’unione faccia davvero la forza, che sia possibile aiutarsi a vicenda anche senza dirselo, che si può sempre imparare a fare cose nuove e differenti ascoltando con umiltà chi può insegnare. È sufficiente volerci essere per gli altri.
Esperienze come questa mia hanno arricchita di una consapevolezza: il sapere che in qualsiasi momento si potrebbe avere bisogno di un altro, perché la vita è bella ma non sempre riserva una buona sorte.
È vero, il volontariato – e la parola stessa ce lo ricorda – è un atto personale e scaturisce dalla volontà del singolo per la collettività. Ma come tante cose a volte non si approccia perché non si conosce. Vorrei chiudere con una provocazione: non potrebbe essere una cosa positiva poter inserire nelle terze classi superiori - ultima classe obbligatoria ed età in cui si inizia a ragionare con la propria testa - un atto formativo di questo tipo? Un po’ di umiltà a tutti non farebbe male.