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Naturale, artigianale, di qualità… tutte le informazioni generiche che troviamo sulle confezioni

Facendo la spesa spesso cade l’occhio su prodotti definiti100% di origine naturale*”, non possiamo fare a meno di riflettere sul termine “naturale”: la situazione è confusa perché la normativa definisce questo attributo solo nel caso dell’acqua minerale naturale e degli aromi naturali. In tutti gli altri casi sono dichiarazioni basate sul “senso comune”, si considera naturale tutto ciò che non prevede aggiunte di ingredienti chimici artificiali. Il termine naturale inoltre è altrettanto spesso

accompagnato da degli asterischi.

Il mondo degli asterischi è molto variegato: nel caso più comune il rimando alla nota chiarisce un’affermazione, o meglio definisce l’ambito in cui quella dichiarazione è valida, e questo è pensato non per dare un’informazione completa a chi fa la spesa, ma per rispettare la legge. Ogni claim di tipo nutrizionale, come quelli sul ridotto contenuto di grassi o di sale, deve fare riferimento a dei valori medi. È necessario quindi dichiarare rispetto a quale riferimento il contenuto è ridotto. Spesso ci si riferisce alla media dei prodotti in commercio, ma non sempre.

Queste sono solo alcune delle indicazioni che possiamo trovare sulle confezioni, informazioni che ci dovrebbero aiutare a scegliere, ma a volte sono fuorvianti o creano confusione piuttosto che chiarezza. Per aiutare chi fa la spesa, sarebbero invece necessarie alcune regole come ad esempio quelle suggerite dalla rivista  Altroconsumo con il manifesto “L’etichetta che vorrei”. Nel frattempo, piuttosto che lasciarci distrarre dai troppi claim, è importante leggere con attenzione la lista degli ingredienti e la tabella nutrizionale.

Frodi e sicurezza alimentare: l’Università Bicocca mette a punto un nuovo sistema spettrofotometrico

Moderne tecniche di spettroscopia e machine learning consentono di riconoscere alimenti adulterati e garantire che sulle tavole dei consumatori arrivino cibi di qualità. A dirlo è uno studio condotto dai ricercatori di Statistica e metodi quantitativi di Milano-Bicocca. Lo scopo del lavoro è di semplificare il sistema dei controlli per garantire l’arrivo sulle tavole dei consumatori di cibi che corrispondono, per qualità e origine, a quanto indicato in etichetta e riconoscere eventuali frodi. È il risultato di un lavoro di ricerca condotto da due ricercatori del Dipartimento di statistica e metodi quantitativi dell’Università di Milano-Bicocca, Francesca Greselin e Andrea Cappozzo, in collaborazione con i colleghi Ludovic Duponchel dell’Università di Lille (Francia) e Brendan Murphy dell’University College Dublin (Irlanda).

I promettenti risultati dell’analisi sono stati descritti in uno studio dal titolo “Robust variable selection in the framework of classification with label noise and outliers: Applications to spectroscopic data in agri-food” (DOI: 10.1016/j.aca.2021.338245), pubblicato da Analytica Chimica Acta, una prestigiosa rivista nell’ambito della chimica analitica e della spettroscopia.

L’utilizzo della spettroscopia negli studi di “food authenticity”, negli ultimi decenni, ha consentito di analizzare le sostanze senza danneggiare il campione sottoposto a verifica. Grazie all’utilizzo di sistemi di “machine learning”, è stato possibile semplificare l’analisi selezionando la grande mole di dati raccolti. Dai migliaia di segnali che lo strumento riceve attraverso lo spettrometro, si selezionano solo quelli che permettono di identificare il prodotto originale, in modo da individuare con facilità i prodotti di imitazione ed eventuali frodi. Si tratta di un ulteriore passo in avanti  frutto dello studio condotto dal team internazionale di ricercatori che hanno “testato” la metodologia su tre alimenti: lieviti, carne e olio. La tecnica messa a punto consente di ridurre dall’ordine delle migliaia a poche decine il numero di misurazioni da acquisire dal segnale spettrometrico, per fare un’accurata verifica che escluda adulterazioni. Tutto ciò con evidenti vantaggi sia in ordine di tempo che di costo delle operazioni di controllo.

L’impiego di moderne tecniche di spettroscopia e “machine learning” nel settore agroalimentare aiuterà ad automatizzare i controlli dei cibi che entrano nelle nostre case, per assicurare maggiore qualità e sicurezza ai consumatori. Tali metodologie, infatti, potranno trovare applicazione sia nell’ambito delle verifiche condotte dalle autorità governative, sia nelle procedure di certificazione di qualità dei prodotti.

Tossina in carne bovina dalla Slovenia e solfiti in scampi congelati, ritirati dal mercato europeo 69 prodotti

Nella settimana n°14 del 2021 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 69 (3 quelle inviate dal Ministero della salute italiano).

L’elenco dei prodotti distribuiti nel nostro Paese oggetto di allerta comprende un solo caso per la presenza di Tossina di Shiga, prodotta dal gruppo Escherichia coli, in carne bovina refrigerata proveniente dalla Slovenia (Coscia di bovino giovane; Scadenza: 13.04.2021; Data di macellazione: 19.03.2021; Lotto: 323; Produttore: Postojnske mesnine d.o.o).

Nella lista delle informative sui prodotti diffusi nel nostro Paese che non implicano un intervento urgente troviamo: contenuto troppo elevato di solfiti in scampi congelati (Nephrops norvegicus) dal Regno Unito; ingredienti non autorizzati (gamberetti e PAP di insetti) in mangimi composti per pollame dal Belgio; contenuto troppo elevato di cantaxantina in mangimi complementari per uccelli provenienti dal Belgio.

Tra i lotti respinti alle frontiere od oggetto di informazione, l’Italia segnala: caratteristiche organolettiche alterate di pesce spada congelato (Xiphias gladius) proveniente dalla Cina; sostanze non autorizzate (cristal violetto e leucocristallo violetto) in orata refrigerata (Sparus Aurata) dalla Grecia.

Questa settimana tra le esportazioni italiane in altri Paesi che sono state ritirate dal mercato l’Austria segnala un’allerta per la presenza di Salmonella (gruppo C1) in salame di cinghiale.

Nutriscore , il paradosso dei fritti preconfezionati promossi con la A

Le linee guide del NutriScore contenenti le FAQ pubblicate dal ministero della Salute francese infatti indicano che "ai prodotti fritti preconfezionati (come le patatine o il pesce impanato) viene solitamente assegnato un Nutri-Score di A o B. Questi prodotti saranno normalmente sottoposti a un processo industriale di pre-frittura che ha un basso impatto sulla quantità di grasso nel prodotto. Alcuni prodotti possono essere progettati per la cottura in forno o in padella, mentre altre confezioni possono menzionare che può essere cucinato in una friggitrice, il che porta a una quantità molto maggiore di olio nel prodotto finale consumato. Di conseguenza, la cottura in friggitrice si traduce in un Nutri-Score superiore di una o due fasce, a seconda del tipo di olio utilizzato". E poi il documento recita: "Nel caso esclusivo di prodotti fritti che non possono essere consumati come venduti e dove la confezione indica una friggitrice come metodo di cottura, si raccomanda che il produttore informi i consumatori dei cambiamenti che tale metodo di preparazione causerebbe in termini di Nutri-Score del prodotto, aggiungendo la seguente frase generica frase generica sulla confezione: 'Durante la cottura in friggitrice, il Nutri-Score del prodotto può variare di una lettera se l'olio di frittura è povero di acidi grassi saturi (olio di girasole o di arachidi), o di due lettere se l'olio di frittura utilizzato è molto ricco di acidi grassi saturi (olio di cocco, di palmisti o di palma)'".

Si legge ancora nello stesso documento: "la componente "frutta, verdura, legumi e noci" è stata modificata nell'ottobre 2019 per tenere meglio conto delle raccomandazioni nutrizionali per gli oli in Europa.
La percentuale di oli di colza, noce e oliva nei prodotti è ora inclusa nella componente positiva "frutta, verdura, legumi e noci" per il calcolo del punteggio. In seguito a questa modifica, gli oli di colza, gli oli di colza, noce e oliva sono tutti classificati come "C-giallo" per riflettere le raccomandazioni di salute pubblica che raccomandano di favorire questi oli rispetto ad altri grassi".Ma se il padre stesso del NutriScore, nonché direttore dell'EREN Serge Hercberg (che aveva inviato ad AGRICOLAE la lista degli accademici italiani a favore tra cui figurava Walter Ricciardi) e l'assistente Julia Chantal, nelle loro pubblicazioni scientifiche scrivono che il NutriScore può essere utile a prevenire forme di cancro dovute a una scorretta alimentazione, come fa poi il sistema di etichetta nutrizionale francese a dare una A ai fritti preconfezionati? 

Secondo uno studio scientifico condotto dall’American Chemical Society tutti i cibi pre-fritti confezionati e pronti da cuocere in casa sono potenzialmente dannosi per la nostra salute. Tutta colpa delle sostanze chimiche che si sviluppano proprio a causa della cottura che viene fatta prima di congelarli. Proprio queste sostanze che si sviluppano sarebbero cancerogene. In particolare per quanto riguarda le patate fritte surgelate ci sarebbe una doppia cottura ed entrambe a temperature molto elevate come quelle che occorrono per le fritture. In questo caso, infatti, si sviluppano diverse sostanze. Fra queste la più pericolosa è l’acrilamide che è ritenuta tossica e persino cancerogena.

A parlarne è anche l'American Cancer Societyhttps://www.cancer.org/cancer/cancer-causes/acrylamide.html che non determina se qualcosa causa il cancro (cioè, se è un cancerogeno), ma guarda ad altre organizzazioni. Tra queste hanno fatto le seguenti determinazioni:

L'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARCInternational Agency for Research on Cancer (IARC)classifica l'acrilammide come "probabile cancerogeno umano".
Il National Toxicology Program (NTP) US National Toxicology Program (NTP) degli Stati Uniti ha classificato l'acrilammide come "ragionevolmente previsto come cancerogeno per l'uomo".
La US Environmental Protection Agency (EPAUS Environmental Protection Agency (EPA) classifica l'acrilammide come "probabile cancerogeno per l'uomo".

È bene precisare che queste determinazioni sono basate principalmente su studi su animali da laboratorio, e non su studi di esposizione delle persone all'acrilammide dagli alimenti. Dalla scoperta dell'acrilammide negli alimenti nel 2002, l'American Cancer Society, la US Food and Drug Administration (FDA), l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), e molte altre organizzazioni hanno riconosciuto la necessità di ulteriori ricerche su questo argomento. Finora, le revisioni degli studi fatti in gruppi di persone (studi epidemiologici) suggeriscono che l'acrilammide alimentare non è probabilmente correlata al rischio per i tipi più comuni di cancro. Ma gli studi in corso continueranno a fornire nuove informazioni sul fatto che i livelli di acrilammide negli alimenti siano legati ad un aumento del rischio di cancro.

E il nostro ministero della Salute? Scrive sul suo sito http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_262_allegato.pdf che  "l’acrilammide è una sostanza chimica che si forma naturalmente nei prodotti alimentari amidacei durante la normale cottura ad alte temperature (frittura, cottura al forno e alla griglia e anche lavorazioni industriali a più di 120° con scarsa umidità). Si forma per lo più a partire da zuccheri e aminoacidi (principalmente un aminoacido chiamato asparagina) che sono naturalmente presenti in molti cibi. Il processo chimico che causa ciò è noto come “reazione di Maillard” e conferisce al cibo quel tipico aspetto di “abbrustolito” che lo rende più gustoso. Una panoramica sulla valutazione del rischio effettuata dall’EFSA: quali sono i rischi che corrono i consumatori consumando cibi contenenti acrilammide? A giugno 2015 l’EFSA ha emanato un parere scientifico dopo aver condotto un’accurata valutazione dei rischi per la salute pubblica connessi all’acrilammide presente negli alimenti, e ha concluso quanto segue: basandosi su studi condotti su animali, l’EFSA conferma le precedenti valutazioni secondo le quali l’acrilammide presente negli alimenti potenzialmente aumenta il rischio di sviluppare il cancro nei consumatori di tutte le fasce d’età. 

Ma il Nutriscore gli conferisce una A!!

La campagna fragolicola è andata alla grande

A livello di prezzi e richieste, finora la campagna fragolicola è andata alla grande, malgrado i frequenti sbalzi termici abbiano limitato sui volumi; però in quest'ultimo periodo si nota un crescente interesse da parte della Gdo per le fragole estere, in particolar modo per quelle spagnole e greche. In ogni caso, a risollevare le quotazioni potrebbe essere proprio il clima. Solitamente, subito dopo le festività pasquali, i prezzi dei prodotti ortofrutticoli subiscono un ribasso. Già a partire dalla giornata del venerdì, con le ultime forniture prima della pausa pasquale,, si è notato una lieve diminuzione delle quotazioni, flessione che è andata poi aggravandosi, fino a toccare anche il -50%. Sui mercati nazionali, siamo passati da 5-7 €/kg della settimana Santa a 2-4 €/kg di mercoledì 7 aprile 2021. E' normale che ci si aspetti di poter incassare qualche centesimo in più a ridosso delle feste, così come è normale che si cerchi di raccogliere maggiori quantitativi per far fronte ai maggiori ordinativi, evitando però di far stazionare le fragole in cella fino alla riapertura dei mercati dopo le festività. Ciò può aver ingenerato una corsa alle vendite. Il brusco abbassamento termico di questi ultimi giorni, infatti, causerà un rallentamento nel processo di maturazione dei frutti e quindi una riduzione delle operazioni di raccolta, permettendo così di superare questo momento contingente di offerta superiore alla domanda.

Coloranti naturali: scoperto il modo di produrre il rosso carminio senza insetti e il blu brillante dal cavolo

I coloranti naturali per gli alimenti (e per altri prodotti come i cosmetici) in futuro saranno estratti sempre meno dalle fonti primarie e sempre più spesso ottenuti con metodi di sintesi alternativi e sostenibili. Lo suggeriscono, tra gli altri, due studi usciti negli ultimi giorni che riguardano colori primari e piuttosto rari in natura: il rosso carminio e il blu.

Il primo ancora oggi è ricavato dalle cocciniglie, allevate a tale scopo soltanto in Perù e alle isole Canarie, attraverso un procedimento lungo e delicato, che prevede diversi passaggi. Le rese sono bassissime e, oltretutto, il colorante che si ottiene è contaminato da allergeni e da materiali di diverso tipo, e non è accettato da parte di chi non vuole consumare prodotti di derivazione animale. Per questo nel tempo è stato in gran parte sostituito da coloranti di sintesi che, però, non assicurano lo stesso risultato. Finora, infatti, nessuno era riuscito a produrre il principio attivo, l’acido carminico, attraverso una sintesi chimica.

Finalmente un team del Korea advanced institute ofscience and technology (Kaist), di Daejeon, ce l’ha fatta grazie all’aiuto dell’intelligenza artificiale. Il punto debole del processo, spiegano gli autori nello studio pubblicato sul Journal of the American Chemical Society, era il passaggio dal precursore all’acido carminico vero e proprio, perché non si conoscevano gli enzimi che facevano avvenire la reazione a partire dal glucosio, come accade nelle cocciniglie. E qui è venuto in aiuto il computer, che ha simulato il tipo di enzima necessario e cercato tra quelli noti. Ne sono stati identificati due, in una specie batterica e in una pianta, rispettivamente. Una volta inseriti in un ceppo di Escherichia coli insieme al glucosio e alle altre sostanze necessarie già identificate, la sintesi è avvenuta regolarmente.

Il medesimo procedimento, con gli stessi enzimi e materiali di partenza leggermente diversi, ha portato anche alla sintesi di un’altra sostanza molto usata e, al momento, ricavata dalle piante: l’aloina, principio attivo dell’Aloe vera. L’importanza dei risultati ottenuti potrebbe andare al di là dell’acido carminico, proprio perché sono stati scoperti i due enzimi, che potrebbero essere impiegati in molte altre sintesi. Il secondo studio, incentrato questa volta sui coloranti blu e pubblicato su Science Advances da un gruppo internazionale di ricercatori statunitensi, francesi e anche italiani della SISSA di Trieste, ha fatto un uso ancora più impressionante dell’intelligenza artificiale, analizzando un numero di sequenze genetiche di possibili enzimi pari a 10 elevato alla ventesima potenza (superiore, come hanno fatto notare gli autori, a quello delle stelle dell’universo). In questo caso la fonte del colorante era il cavolo rosso, già sfruttato per alcune tonalità, appunto, del rosso e del viola grazie alle sue antocinanine, ma mai per il blu.

Eppure il blu, colore molto raro in natura, è presente nel cavolo rosso, dove si forma grazie a una reazione che parte dalle antocianine rosse, mediata da enzimi anche in quel caso sconosciuti. Il problema è che si trova in minime quantità, e per questo finora nessuno era riuscito a comprendere tutti i passaggi e gli enzimi coinvolti. L’obiettivo è stato raggiunto con la potenza di calcolo dell’AI, che ha permesso di identificare gli enzimi necessari a convertire le antocianine rosse nel blu naturale alimentare e non solo per eccellenza, chiamato blu brillante FCF o FD&C numero 1 (l’additivo E133). La via per una sintesi di coloranti che non preveda l’estrazione da fonti preziose, o che passi materie prime come il cavolo rosso è aperta.  

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