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Coop, richiamate barrette per ossido di etilene nello zenzero

Coop e il ministero della Salute hanno diffuso l’avviso di richiamo di due lotti di barrette Raw Bar riso e zenzero al limone a marchio Céréal Bio per il “contenuto di ossido di etilene superiore ai limiti di legge dovuto alla presenza di zenzero”. Il prodotto in questione è venduto in unità da 35 grammi con il numero di lotto L030621 e il termine minimo di conservazione (Tmc) 03/06/2021, e il lotto L221021 con Tmc 22/10/21.

Le barrette richiamate sono state prodotte da Meraviglie S.r.l., nello stabilimento di via del Commercio 16, a Sommacampagna in provincia di Verona.

Coop precisa che il provvedimento interessa solo i supermercati delle Regioni Lombardia, Piemonte e Liguria. A scopo precauzionale si raccomanda di non consumare il prodotto con i numeri di lotto segnalati e restituirli al punto vendita d’acquisto. Per ulteriori informazioni è possibile contattare il numero verde 800 018124 dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 18.00

Il ministero della Salute ha anche pubblicato un avviso di sicurezza alimentare, in seguito alla segnalazione da parte dei Nas di  “una lamentela di un consumatore riguardante il riscontro di un frammento di vetro nell’omogeneizzato al gusto mela-ananas Mellin, confezione in vetro da 100 grammi, lotto 01600021, TMC 24/09/2022 11:33.”

Il ministero precisa che “sono tuttora in corso ulteriori accertamenti da parte delle Autorità Competenti circa il caso e per il ritiro, a scopo precauzionale, del lotto segnalato.”

Brexit: già in fumo 3% export cibo made in Puglia in Uk

In fumo già il 3% di esportazioni di prodotti agroalimentari made in Puglia in Gran Bretagna per effetto degli ostacoli burocratici ed amministrativi che frenano gli scambi commerciali. E’ quanto emerge dai dati provvisori Istat – Coeweb relativi al commercio estero nel 2020.

Da gennaio 2021 la Gran Bretagna è uscita dall’Unione Europea e certamente lo scenario diverrà ancor più complesso, con il Paese d’Oltremanica che si classifica al quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese per cibo e bevande dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Dopo il vino, con il prosecco in testa, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna ci sono i derivati del pomodoro, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi, salumi e dell’olio d’oliva. La violazione degli accordi sulla Brexit rischia peraltro di favorire l’arrivo nell’Unione Europea di cibi e bevande non conformi agli standard sicurezza Ue ma anche contraffazioni ed imitazioni dei prodotti alimentari tutelati.

Le esportazioni di prodotti agroalimentari dalla Puglia al Regno Unito sono aumentate del + 41,5 % in 5 anni fino al 2019. Su un valore totale di 129 milioni di prodotti agroalimentari pugliesi esportati, oltre il 70% dell’export riguarda l’ortofrutta, pari a 97,5 milioni di euro, mentre si assiste ad un calo del 31% negli ultimi 5 anni delle importazioni dal Regno Unito. Per sostenere crescita e nuove opportunità di lavoro occorre investire sulla competitività del Made in Italy a partire dall’agroalimentare che è un elemento di traino per l’intera economia in Italia e all’estero.

Dopo il vino al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna c’è l’ortofrutta fresca e trasformata come i derivati del pomodoro, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi e dell’olio d’oliva.

Parallelamente sui mercati ci troviamo ad arginare iniziative come quella dell’etichetta a semaforo inglese legata principalmente all’azione di 4 grandi multinazionali del cibo come Coca cola, Pepsi Co, Mars e Nestlè, colossi che dispongono di risorse e leve pubblicitarie e commerciali finalizzate ad influenzare i comportamenti e gli orientamenti all’acquisto del consumatore medio. Con l’uscita dall’Unione Europea si teme anche che si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole alle esportazioni agroalimentari italiane come ad esempio l’etichetta nutrizionale a semaforo sugli alimenti che si sta già diffondendo in gran parte dei supermercati inglesi.

A preoccupare è anche la tutela giuridica dei prodotti a indicazioni geografica e di qualità (Dop/Igp) che incidono per circa il 30% sul totale dell’export agroalimentare Made in Italy e che, senza protezione europea, rischiavano di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione da Paesi extracomunitari.

 

Pratiche commerciali sleali, intesa tra distribuzione e produttori agricoli

Le imprese del comparto distributivo rappresentate in ANCC-Coop, ANCD-Conad e Federdistribuzione, insieme a ADM-Associazione Distribuzione Moderna, hanno raggiunto una serie di intese con le organizzazioni del comparto agricolo sui principi comuni utili all’iter legislativo di recepimento della direttiva europea sulle pratiche commerciali sleali. I firmatari di queste intese sono Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, Cia-Agricoltori Italiani, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri e Filiera Italia. L’intesa nasce dall’intenzione di tutelare gli operatori che praticano comportamenti corretti in ogni comparto delle filiere agroalimentari italiane, e rappresenta un’ulteriore fase di collaborazione tra le organizzazioni coinvolte a sostegno dell’agroalimentare italiano, a difesa dei consumatori, delle imprese e dei lavoratori dell’intero settore. L’intesa tra distribuzione e agricoltura italiane si concentra sull’effettivo recepimento della direttiva Ue in materia di pratiche commerciali sleali, mantenendo il concetto di reciprocità, quindi di tutela, prevista a livello nazionale, nei confronti di tutti gli operatori della filiera. Al tempo stesso contempla il principio di riservatezza nella denuncia delle pratiche commerciali sleali; e il diritto alla difesa, oltre alla configurazione di sanzioni proporzionate tali da non compromettere la continuità delle imprese e il loro equilibrio economico. Tra i punti principali, l’intesa rigetta l’uso delle aste online al doppio ribasso, riconsidera il tema delle vendite sottocosto limitandole a casi specifici, introduce specifiche sui pagamenti e rimanda a un ente incaricato dell’applicazione e controllo della normativa in questione che possieda opportuni requisiti di autonomia ed esperienza, come ad esempio l’ICQRF. Questa intesa si affianca a quella già raggiunta nel novembre scorso, nello stesso ambito, tra distribuzione e industria del Largo consumo. “L’accordo raggiunto tra le associazioni della Distribuzione Moderna e le organizzazioni agricole evidenzia un’opportunità importante per tutti gli attori del comparto agroalimentare: lavorare in un’ottica di sistema su temi comuni per costruire rapporti di filiera più trasparenti ed equi, a beneficio dei consumatori” – è il commento congiunto di ADM, ANCC-Coop, ANCD-Conad e Federdistribuzione. “Per l’intero mondo dell’agroalimentare significa valorizzare le eccellenze del Made in Italy, tutelare lavoratori e imprese, restituire ai cittadini un sistema di filiera che crea valore all’insegna dei principi della sostenibilità economica, sociale e ambientale”.     

Mozzarella Dop Gioia del Colle, Csqa svolgerà incarico di controllo e certificazione

 Prima la registrazione ufficiale a livello europeo a dicembre scorso, ora l’approvazione del piano dei controlli da parte dell’Ispettorato centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari del Mipaaf (ministero delle politiche agricole alimentai e forestali): l’ultimo passo prima della commercializzazione del prodotto certificato a livello internazionale.

La produzione certificata è davvero realtà per la Mozzarella di Gioia del Colle che a fine 2020 ha ottenuto ufficialmente il marchio di origine protetta (DOP).

A svolgere l’incarico di controllo e certificazione, sotto la vigilanza del Mipaaf, sarà «CSQA Certificazioni», principale organismo di certificazione in Italia nel settore agricolo e alimentare con oltre 68 prodotti DOP, IGP, STG controllati.

Tra gli elementi più rilevanti del nuovo piano di verifiche che sarà applicato a allevamenti, raccoglitori del latte e caseifici, ci sarà il controllo di tutta la filiera: dalla produzione del latte, alla sua trasformazione fino al confezionamento del prodotto finito. Un passaggio importante per i produttori che permetterà, da un lato, di valorizzare il latte di una produzione storica, consolidando la presenza sul territorio di un tessuto produttivo importante, dall’altro di aggredire nuovi mercati, soprattutto esteri. In altre parole il marchio DOP rafforzerà la presenza commerciale internazionale delle aziende che si certificheranno.

«La Mozzarella di Gioia del Colle DOP rappresenta, nel comparto food, un prodotto di eccellenza che si aggiunge al patrimonio delle Indicazioni Geografiche agroalimentari italiane tutelate. Con l’approvazione del Piano dei Controlli da parte del Mipaaf – dichiara Michele Zema direttore commerciale Csqa – si conclude un percorso che ha portato al meritato riconoscimento della DOP per la Mozzarella di Gioia del Colle. Siamo orgogliosi di essere stati scelti quale organismo di certificazione. Ora si entra in una fase di fattiva collaborazione con tutti gli operatori del comparto con l’obiettivo di valorizzazione di questa eccellenza».

La mozzarella Dop è un’altra eccellenza certificata a supporto delle filiere di qualità della Puglia che conta 63 prodotti agroalimentari e vitivinicoli DOP, IGP, STG nel territorio regionale, un patrimonio, secondo i dati del Rapporto Ismea-Qualivita 2020, da 440 milioni di euro alla produzione che coinvolge circa 4.300 operatori.

Ora il prossimo passo è la costituzione del Consorzio insieme agli altri 25 Comuni del circondario come previsto dal disciplinare. Il processo dovrebbe concludersi al massimo entro l’estate.

Colazione e caffè: nuove abitudini dopo la pandemia

È il comparto della Prima Colazione ad aggiudicarsi il ruolo di protagonista del 2020, con un valore di oltre 10 mld di euro e una crescita del 6% rispetto all’anno precedente.

Lo confermala ricerca di Iri che evidenzia come l’imposto consumo casalingo della colazione, abbia creato per i consumatori l’occasione di ripensare con cura e attenzione al primo pasto della giornata.

Secondo una ricerca dell’Istituto Piepoli, infatti, un consumatore su 5 dichiara di avere modificato il proprio modo di fare colazione riscoprendo il piacere di consumare il pasto a casa, quando il 17% degli intervistati era solito consumarla al bar in epoca pre-Covid. Le principali variazioni sono legate al menù e al tempo dedicato alla stessa. Di conseguenza, se nel 2019 il comparto presentava un andamento prevalentemente piatto, nell’anno della pandemia i prodotti da colazione hanno registrato delle fluttuazioni positive negli acquisti, coincidenti con le diverse “fasi” affrontate dal paese.

Durante il primo periodo di lockdown il mercato della Prima Colazione è cresciuto complessivamente del 14,8% con picchi del 19,5% per i Preparati per Bevande Calde, del 26% per il Latte Uht, del 41,7% per gli Spalmabili Dolci e del 46% per il Miele. Unica eccezione è rappresentata dal Latte fresco, in flessione ormai da tempo. Già nella “fase 2”, e ancor più nella “fase 3” è evidente come la crescita delle categorie della Colazione rallenti, mentre con la “seconda ondata”, iniziata il 5 ottobre, la crescita si è ripresa. All’interno della Prima Colazione, la categoria con maggiore incidenza sui risultati positivi del comparto è sicuramente quella dei Preparati per Bevande Calde. Tutte le sue componenti hanno mostrato segnati di crescita: Camomilla e Infusi, con buone performance già nel 2019, Latte Condensato, Modificatori del Latte (come il cacao), Tea e Orzo. Tuttavia, si sottolinea come le maggiori vendite di questo settore sono sviluppate dal Caffè, con un importante 68,3% del Caffè Macinato. Il focus sul mercato del caffè sottolinea un trend ancor più positivo se confrontato con i dati dell’anno precedente. Nel 2019, infatti, il 51% dei volumi di caffè è stato venduto in promo, percentuale che sale al 56% se si guarda al segmento del Macinato. L’avvento delle capsule infatti ha modificato le abitudini di consumo, spostando gli acquisti verso questo segmento e, di conseguenza, su altri canali quali l’online, i flagship store e gli specializzati. La categoria Macinato quindi ha perso valore e la competitività nella Gdo si è trasferita sulla leva promozionale. Nel 2020, invece, la chiusura dell’Ooh dovuta alla pandemia ha fortemente inciso sulle performance del mercato nel canale retail con conseguenze positive in tutti i format (ad eccezione dell’ipermercato, in crisi ormai da anni). Si rilevano una crescita a doppia cifra delle vendite del caffè (+10,3%), una riduzione della pressione promozionale di 3,6 p.p. a volume e un aumento del prezzo al kg del 7 per cento. A livello di singoli segmenti si osserva come, fino al 2019, Caffè Macinato e Solubile presentavano una flessione delle vendite, a differenza del Caffè in Grani che presentava un trend positivo. Lo scorso anno ha visto questo scenario ribaltarsi con una marcata dinamicità di Macinato, Capsule e Cialde, e Caffè Solubile a cui si contrappone una contrazione del mercato dei Grani. Le Capsule, con un’incidenza del 32% sulle vendite totali, sono l’unico segmento in espansione assortimentale (+ 4,3 referenze rispetto al 2019). Il Macinato registra trend molto positivi per alcune tipologie premium come Decaffeinato (+13,7%), 100% Arabica (+17,3%) e Monorigine (+35,1%), con l’eccezione del Biologico.

Etichetta a semaforo: contromossa italiana

«Non è accettabile che nel nostro Paese si passi a un sistema di etichettatura dove una bevanda zuccherata creata in laboratorio risulta più sana del nostro parmigiano o del nostro olio d`oliva. Fino a quando io sarò ministro mi batterò con tutte le forze affinchè il tema del Nutriscore venga abbandonato, è un danno enorme per il nostro settore». Per il suo esordio da ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli ha scelto uno dei temi che più mette d’accordo tutta la filiera del made in Italy agroalimentare, dai contadini fino alle industrie, cioè quello delle etichette alimentari.

Proseguendo sulla scia di quanto portato avanti a Bruxelles dalla ministra che l’ha preceduto, Teresa Bellanova. «È un percorso che dobbiamo fare insieme in Europa e dobbiamo avere la forza di imporre nostra visione», ha aggiunto Patuanelli, intervenendo in diretta streaming al Consiglio nazionale della Coldiretti. Sulla questione la Commissione UE è chiamata a intervenire entro il 2022, per stabilire regole uguali in tutta Europa.

Ad oggi, però, gli Stati dell’Unione sono spaccati. Da un lato c’è il fronte di chi ha già adottato le etichette a semaforo Nutriscore, le preferite dalle grandi mutlinazionali: ne fanno parte membri “pesanti”, come la Francia, la Germania, il Belgio, i Paesi Bassi, il Lussemburgo e la Spagna. Dall’altro lato, c’è il fronte capitanato dall’Italia, fermamente contraria ai bollini rossi, che l’anno scorso ha portato a Bruxelles una proposta alternativa, la cosiddetta etichetta a batteria.

Con il nostro Paese si sono schierati Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Ungheria, Lettonia e Romania. E i consumatori, cosa ne pensano? L’Unione nazionale consumatori sta con Patuanelli: «No al Nutriscore e a tutte le etichette prive di basi scientifiche. I colori ideati dai francesi semplificano il messaggio, creando evidenti distorsioni», ha fatto sapere ieri il responsabile dell’Area sicurezza alimentare dell’associazione, Agostino Macrì.

Anche la Commissione Ue, chiamata a redigere diversi studi di impatto prima di presentare la propria proposta legislativa, ha scelto di sondare i consumatori europei. I risultati raccontano una battaglia ancora molto aperta: il 20% degli intervistati è ha favore del Nutriscore, il 29% predilige l`etichetta a batteria proposta dall’Italia, l’8% vorrebbe un’etichetta a semaforo che sia le sintesi delle due proposte precedenti.

Ma soprattutto, oltre il 40% dei consumatori è ancora indeciso: vince chi riuscirà a conquistare questa fetta. «Francia, Germania e Spagna saranno anche Paesi importanti, ma guardando questi dati, possiamo dire che il Nutriscore ad oggi non incontra il consenso del 70% degli europei intervistati», sostiene Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, che ha avuto modo di consultare lo studio di impatto. Certo, la strada per la proposta italiana resta in salita, soprattutto perché la discussione sulle etichette comincerà nel 2022, con la Francia presidente di turno della Ue per tutti i primi sei mesi. «L`Italia deve rilanciare la partita – aggiunge Giansanti – qui non è in gioco solo un modello di etichettatura, ma quale modello alimentare vogliamo adottare: dietro c`è la partita del cibo sintetico, sulla quale l`Italia ha tutto da perdere».

«Il successo della dieta mediterranea – ha ricordato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini-  è stato messo sotto attacco anche dalla recente approvazione, da parte della Commissione, del Piano per la salute, che prevede la presentazione entro il 2023 di una proposta per introdurre avvertimenti salutistici nelle etichette delle bevande alcoliche senza escludere esplicitamente il vino, ma anche la revisione della politica di promozione dei prodotti agricoli dell`Ue con l`obiettivo di ridurre i consumi di vino, carni rosse e salumi».

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