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Indagine Confimi Industria: l'89% delle pmi manifatturiere non licenzierà

L'89% degli imprenditori non è interessato al superamento del blocco dei licenziamenti perché non lasceranno a casa i propri dipendenti. C'è poi il 32% delle imprese che ha in previsione nuove assunzioni. La manifattura quindi non licenzia, al contrario assume.  E per quell'11% che sarà costretto a licenziare (si parla per lo più di 1 o 2 addetti) esiste una forbice tra nord e sud, fa presente il Centro Studi Confimi: solo il 9% delle pmi del centro-nord ridurranno il personale contro un 18% del Mezzogiorno.È quanto emerge dal Centro Studi di Confimi Industria che ha intervistato nelle scorse settimane la base associativa, piccole e medie imprese del manifatturiero privato italiano. Nessun importante scostamento neppure sul fronte dell'occupazione femminile che nel suo complesso - seppur di alcune unità - sembra esser cresciuto (+1%) nel 2020 ed è destinato a farlo anche nel 2021. La pandemia ha acuito le difficoltà certo ma la macchina produttiva sembra esser ripartita: gli imprenditori del manifatturiero italiano, dopo la flessione dell'anno scorso che nel complesso ha portato a una perdita del fatturato intorno all'8% rispetto al 2019, prevedono di chiudere il 2021 con fatturati precovid. Il Centro Studi di Confimi Industria non ha di certo ignorato le segnalazioni dai comparti in maggiore difficoltà a causa della pandemia: in difficoltà sul lato occupazionale il 14,3% delle pmi alimentari che lavorano con il settore Horeca, il 9% delle aziende della meccanica che soffrono i costi alle stelle delle materie prime e la difficoltà nel reperire componentistica e che potrebbero per questo dover rallentare o persino fermarsi, l'8,2% delle aziende dei servizi e di quelle del turismo vittime da oltre un anno della situazione pandemica. “I dati dell’indagine di Confimi Industria sorprendono fino a un certo punto - afferma Alessandro Tatone, industriale della Pasta, Presidente di Confimi Alimentare Bari e Vicepresidente Nazionale - perché se il calo dell’export pugliese nel 2020 (- 9,4) è allineato a quello nazionale (- 9,7), nel settore alimentare si sono registrate forti differenze: molto bene il settore pasta e prodotti da forno, molto male per esempio il comparto del vino.” “Il rilancio del nostro Sistema manifatturiero è legato indissolubilmente alla rafforzamento dell’esportazione del Made in Italy, osserva ancora Tatone, per questo come Confimi Alimentare Nazionale, abbiamo segnalato 5 priorità al Ministro Di Maio: 1) lo sviluppo dell’e commerce, ossia delle piattaforme digitali di commercializzazione dei prodotti e servizi; 2) il rafforzamento della logistica a servizio del nostro manifatturiero, anche con la realizzazione di piattaforme distributive all’estero; 3) il rilancio delle Fiere, ma non con contributi a pioggia, bensì favorendo le aggregazioni tra Piccole e Medie Imprese; 4) selezionare sui mercati esteri Intermediari commerciali seri e organizzati; 5) rifocalizzare le iniziative e servizi dell’ICE sempre più tarati sui reali bisogni di accompagnamento delle imprese più piccole.” “Rimane però sullo sfondo ancora irrisolto, conclude Tatone, il problema della bancabilita’ di gran parte delle Imprese italiane, scoglio insuperabile, conseguenza della crisi post Covid, che andrebbe risolto con interventi di sistema coraggiosi ed innovativi da condividere di concerto con l’Associazione Bancaria Italiana.”

 

 

La bilancia agroalimentare nazionale nel 2020

Nel 2020, la diffusione della pandemia da Covid-19 ha determinato un forte rallentamento delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari, pur rimanendo la loro variazione in terreno positivo. Infatti, il netto calo degli affari della ristorazione nel mondo - italiana e non - ha frenato l’incremento annuo dell’export agroalimentare che si è attestato a +1,7% contro il +7% del 2019. In particolare, mentre le esportazioni nazionali di beni e servizi hanno evidenziato, nel 2020, una decisa contrazione del 9,7% rispetto al precedente anno, le spedizioni all’estero di prodotti agroalimentari sono comunque aumentate oltrepassando la soglia dei 46 miliardi di euro. L’import di prodotti agroalimentari, invece, ha registrato un brusco calo scendendo a poco più di 43 miliardi di euro (-5,1% sul 2019); questo risultato è da attribuire in larga misura alla riduzione del 6,6% delle importazioni di prodotti dell’industria alimentare, mentre più contenuto è stato il calo per i prodotti agricoli (-2%). In linea generale, questo risultato è da ricondurre in larga misura al calo delle importazioni di carni e soprattutto di prodotti ittici che rappresentano insieme il 25% circa dell’import totale e che hanno subito una significativa contrazione in ragione della domanda proveniente dai canali Horeca. La bilancia commerciale dei prodotti agroalimentari, strutturalmente in deficit, negli ultimi dieci anni ha determinato un disavanzo medio pari a 5,8 miliardi di euro; a partire dal 2015, tuttavia, la maggior crescita delle esportazioni rispetto ai flussi in entrata ha determinato un progressivo miglioramento del saldo. Nel 2020, a fronte dell’andamento negativo del quadro economico nazionale (calo del PIL, dell’export complessivo di beni e servizi, dei consumi interni presso i canali Horeca), l’export di prodotti agroalimentari evidenzia un risultato che può essere letto come favorevole, con il saldo commerciale che si porta in terreno positivo concretizzatosi in un surplus superiore a 3 miliardi di euro. Tale risultato è da imputare esclusivamente all’industria alimentare che rappresenta l’85% delle esportazioni e il 65% circa delle importazioni di prodotti agroalimentari. Al contrario, il settore agricolo ha mantenuto anche nel 2020 un deficit di circa 7,5 miliardi di euro, in linea con i valori medi dell’ultimo decennio. Il confronto tra l’andamento delle esportazioni totali e di quelle agroalimentari italiane nell’ultimo decennio evidenzia una progressione del peso dei prodotti agroalimentari sulle esportazioni totali di beni e servizi. Infatti, negli ultimi anni la crescita dell’export agroalimentare è sempre stata più marcata rispetto all’export totale, determinando la crescita del peso dell’agroalimentare che è passato dall’8,0% nel 2011 al 10,6% nel 2020, il livello più elevato del periodo considerato, in ragione del consistente calo delle esportazioni totali. Il principale mercato di destinazione dei prodotti agroalimentari italiani è la Ue che, con 29,3 miliardi di euro nel 2020 (+1,4% sul 2019), assorbe circa il 64% delle esportazioni nazionali. Nel dettaglio, nel 2020 le esportazioni verso la maggior parte dei paesi UE hanno registrato tassi di crescita positivi, con particolare riferimento a Germania, Belgio, Polonia; in calo, invece, risultano le esportazioni verso la Spagna.   Le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani verso la Germania, primo paese di destinazione in assoluto, hanno raggiunto nel 2020 un valore pari a circa 7,8 miliardi di euro, in aumento del 7,2% su base annua. I comparti che hanno mostrato maggiori incrementi sono quelli dei “cereali e derivati” (+13,1%, per 1 miliardo di euro di export), da ricondurre al segmento delle paste alimentari (+16,0%, per 475 milioni di euro) e ai prodotti della panetteria, pasticceria e biscotteria (+5,2%, per 349 milioni di euro). In aumento anche le esportazioni di “frutta fresca e trasformata” (+9,3% per 1,3 miliardi di euro), soprattutto grazie alle maggiori richieste di uva da tavola (+22,5% per 252 milioni di euro) e di mele (+32,6% per circa 260 milioni di euro), e di “ortaggi freschi e trasformati” (+7,6% per 979 milioni di euro). Le esportazioni nazionali verso il Belgio sono aumentate, nel 2020, del 3,8% rispetto all’anno precedente, raggiungendo 1,39 miliardi di euro. I comparti oggetto di maggiori richieste sono stati: “frutta fresca e trasformata” (+11,9% per 166 milioni di euro), all’interno di questo comparto sono aumentate in misura significativa le esportazioni di uva da tavola (+13,2% per 27,7 milioni di euro) e kiwi (+27,9% per 36 milioni di euro). Sono aumentate anche le esportazioni di “latte e derivati” (+11,6%, per 156 milioni di euro), all’interno del quale aumentano in maniera più consistente le esportazioni di formaggi freschi (+13,8% per 64 milioni di euro) e in misura minore quelle di formaggi stagionati (+2,3% per 46 milioni di euro). L’export nazionale verso la Polonia è aumentato nel 2020 del 5,4% annuo raggiungendo 981 milioni di euro nel 2020; l’analisi merceologica di questo risultato evidenzia che l’unico prodotto che ha mostrato dinamiche significative è quello dei tabacchi lavorati per i quali l’export italiano è passato da 1,2 milioni di euro nel 2019 a quasi 41 milioni di euro nel 2020. Questo risultato è da ricondurre all’aumento di prezzi medi all’export e soprattutto al netto incremento dei volumi esportati in questo paese dopo il crollo registrato nel 2019. Più dinamiche sono state le esportazioni dirette verso i paesi extra-UE che, nel 2020, sono cresciute del 4,4% su base annua attestandosi a circa 16,8 miliardi di euro; gli incrementi più consistenti si sono osservati per Ucraina (+32,4% per 373 milioni di euro) e Cina (+16,3% per 513 milioni di euro). È da evidenziare anche la crescita delle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani verso gli USA (+5,4% per 4,9 miliardi di euro), che rappresenta il terzo mercato di sbocco in assoluto di prodotti agroalimentari italiani e il primo tra i paesi Terzi. Più nel dettaglio, il segmento produttivo che ha registrato i maggiori aumenti dell’export verso l’Ucraina è quello dei “vini e mosti” (+31,3% per 43 milioni di euro), grazie all’aumento delle richieste sia dei vini spumanti (+43,9% per 14 milioni di euro) sia per i vini fermi in bottiglia (+22,8% per 26 milioni di euro). Sono raddoppiate le esportazioni di “latte e derivati” (da 5,1 milioni di euro nel 2019 a 10,7 milioni di euro nel 2020), con le esportazioni di formaggi freschi che raggiungono quasi 3,3 milioni di euro contro 1 milione nel 2019 e i formaggi stagionati che aumentano del 63,6% raggiungendo 5,2 milioni di euro nel 2020. L’incremento delle esportazioni nazionali in Cina è da ricondurre essenzialmente al comparto “animali e carni” (83,8 milioni di euro nel 2020 contro 10 milioni di euro nel 2019), con particolare riferimento al semento produttivo delle carni suine congelate1 (parti anteriori e pancette) per le quali le richieste del prodotto italiano hanno raggiunto lo scorso anno 51 milioni di euro contro poco più di 5 milioni di euro nel 2019. La crescita della domanda cinese di carni suine congelate è conseguente alla firma di un Protocollo d’intesa tra il Ministro della Salute italiano e l’Amministrazione Generale delle Dogane della Repubblica Popolare Cinese che definisce le condizioni per l’esportazione di carne suina congelata dall’Italia in Cina. A fronte della firma del protocollo a marzo 2019, nel mese di agosto 2019 è stata ufficializzata l’abilitazione di 9 impianti di macellazione all’export di carni congelate ed è stato reso disponibile il certificato sanitario ufficiale per le esportazioni. Le prime spedizioni, nell’ambito del suddetto protocollo, sono partite a inizio autunno 2019. Negli USA, la crescita dell’export nel 2020 ha riguardato i comparti produttivi degli “ortaggi freschi e trasformati” (+18,5% per 289 milioni di euro nel 2020) all’interno del quale si evidenzia la crescita dei pelati e passate di pomodoro (+19,8% per 111 milioni di euro), degli “oli e grassi” (+9,2% per 486 milioni di euro), rappresentato in larga misura dall’olio di oliva (+4,9% per 382 milioni di euro), dai “cereali e derivati” (+27,3% per 790 milioni di euro), con le paste alimentari che hanno raggiunto un valore all’export pari a 488 milioni di euro nel 2020 (+39,9%). Al contrario, le esportazioni sono risultate in flessione per il comparto dei “vini e mosti” (-5,6% per 1,5 miliardi di euro) con riferimento sia ai vini spumanti (-7,5% per 346 milioni di euro) sia per i vini fermi in bottiglia (-6,2% per poco più di 1 miliardo di euro). In flessione risultano anche le esportazioni dei “derivati del latte” (-18,9% per 277 milioni di euro) in ragione del calo dei formaggi freschi (-26,7% per 14,8 milioni di euro) e soprattutto di quelli stagionati (-18,9% per 255 milioni di euro); in quest’ultimo segmento produttivo la contrazione più significativa si è osservata per il Grana Padano e Parmigiano Reggiano (22,1%, per 142 milioni di euro). I dati generali delle esportazioni evidenziano quindi nel complesso una dinamica piuttosto articolata tra i comparti. Infatti, a fronte dell’aumento delle spedizioni all’estero di “derivati dei cereali”, “ortaggi freschi e trasformati”, “frutta fresca e trasformata”, “oli e grassi” e “colture industriali”, risultano in flessione le esportazioni di prodotti tra i più rappresentativi e a maggior valore aggiunto dell’export agroalimentare italiano riconducibili ai comparti di “vini e mosti” e “latte e derivati”. Più in dettaglio, le esportazioni delle paste alimentari hanno segnato un incremento annuo del 15,5% portandosi a 3,1 miliardi di euro nel 2020; di questi, circa 2,1 miliardi di euro sono rappresentati dalla pasta di semola (+19,8%). Lo scorso anno sono cresciute anche le esportazioni di pelati e passate di pomodoro (+9,7% per 1,1 miliardi di euro) e, riguardo i prodotti frutticoli, le spedizioni di uva da tavola (+12,8% per 720 milioni di euro), mele (+13,0% per 833 milioni di euro), kiwi (+2,4% per 461 milioni di euro). Nel 2020 è aumentato anche il fatturato all’estero dell’olio di oliva per un valore pari a 1,2 miliardi di euro (+6,4%). Al contrario, il 2020 ha evidenziato performance negative per le esportazioni di vini (-2,3% per 6,3 miliardi di euro), flessione più marcata per i vini spumanti (-6,9% per poco meno di 1,5 miliardi di euro) rispetto a quella evidenziata per i vini fermi in bottiglia (-1,0% per 4,4 miliardi di euro). Riguardo i formaggi, è da evidenziare un andamento contrapposto per tipologie di prodotto; infatti, sono risultate in flessione le esportazioni dei formaggi stagionati (-7,6% per poco più di 1,5 miliardi di euro) – rappresentati nella misura del 65% circa in valore dai Grana Padano e Parmigiano Reggiano (-6,9% per 1 miliardo di euro) – mentre sono aumentate le spedizioni dei formaggi freschi (+3% per 941 milioni di euro).

Sicurezza Alimentare: un bene collettivo inestimabile da difendere

Il Codex Alimentarius che è un insieme di linee guida e codici di buone pratiche, volte alla tutela della qualità e della correttezza commerciale internazionale degli alimenti, fortemente voluto dall'omonima Commissione permanente fondata nel 1963 dalla FAO e dall'OMS (www.politiche agricole.it), definisce la sicurezza alimentare come il complesso di tutte le condizioni e le misure necessarie a garantire la sicurezza e l'idoneità degli alimenti in ogni fase della catena alimentare, garantendo che nessun alimento possa causare danni dopo che sia stato prodotto, preparato e/o consumato secondo l'uso a cui esso è destinato. E' innegabile che negli ultimi anni la coscienza collettiva si sia impegnata significativamente per la previsione e posa in essere di norme e strumenti idonei per perseguire i predetti scopi, sia attraverso la disciplina comunitaria che attraverso quella interna dei singoli Paesi.

E' altrettando vero, però, che l'Italia ,di recente, ha rischiato di cancellare tutti gli illeciti a tutela di igiene e salubrità degli alimenti dal proprio assetto previsionale. Al fine di comprendere come ciò possa essere avvenuto,giova procedere con un breve excursus degli accadimenti e della loro portata. Il Regolamento UE 2017/625 (www.eur-lex.europa.eu) in vigore dal dicembre 2019 ha consacrato il processo di progressiva integrazione dei sistemi di controllo dei prodotti agro-alimentari a livello comunitario, disciplinando l'esecuzione e il finanziamento dei controlli ufficiali da parte delle autorità competenti degli Stati membri e della Commissione negli Stati membri e nei Paesi terzi, nonchè adottando le condizioni che devono essere soddisfatte riguardo animali, piante e merci che entrano nell'Unione da un Paese terzo ed istituendo un sistema informatico per il trattamento delle informazioni e dei dati raccolti. Al fine di adeguare le disposizioni italiane a quelle fissate dal Regolamento precitato (2017/625) per la filiera agroalimentare, l'art.12 lettere a),b),c),d) ed e) della Legge di delegazione europea n.117/2019, ne ha fissato principi e criteri di recepimento con la previsione anche dell'abrogazione espressa delle norme nazionali incompatibili oltre al coordinamento e riordino di quelle redisue. In forza di tanto è stato emesso il 02 febbraio 2021 il Decreto Legislativo n.27  che all'art.18 ha previsto l'abrogazione di gran parte della Legge n.283 del 1962 sulla “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande” con l'effetto di depenalizzare i reati previsti dagli artt.5,6,12 e 12bis e cioè quelle previsioni che difendono il consumatore dall'uso di prodotti privati dei propri elementi nutritivi, mescolati con sostanze di qualità inferiore o adulterati, in cattivo stato di conservazione, con cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti o con aggiunta di additivi chimici non autorizzati o residui di prodotti tossici utilizzati in agricoltura. Non è questa la sede idonea per affermare se si sia trattata di una svista o di una precisa scelta del legislatore delegato, visto che il regolamento comunitario da attuare lasciava liberi gli Stati membri di approntare la tutela più efficace ivi compresa quella penale. Sicuramente va riconosciuto agli addetti ai lavori e agli esperti del settore il merito di aver immediamente segnalato le disastrose conseguenze dell'entrata in vigore del decreto legislativo citato prevista per il 26 marzo u.s. e così l'attuale Governo con il Decreto Legge del 22 marzo 2021 n.42(www.gazzettaufficiale.it) è intervenuto tempestivamente modificando l'art.18 del D.lgs 27/2021, prima della sua entrata in vigore, con il  ripristino della disciplina sanzionatoria di cui alla L.283/62. Il ricorso alla decretazione di urgenza è stato giustificato dal  fine di evitare che rilevanti settori relativi alla produzione e alla vendita delle sostanze alimentari e bevande restassero prive di tutela sanzionatoria penale ed amministrativa con pregiudizio della salute dei consumatori. In attesa che il Disegno di Legge AC-2427 (www.camera.it) sulla riorganizzazione sistematica degli illeciti agroalimentari attualmente in Parlamento venga discusso, l'unica certezza è che sul tema non bisogna abbassare la guardia e che se non si fosse intervenuti ,ora e subito, sarebbe crollata l'impalcatura di contravvenzioni igienico-sanitarie e sanzioni penali che presidiano la sicurezza agroalimentare del nostro Paese, proteggendo sicuramente il consumatore ma anche i produttori e tutti i soggetti della filiera che con onestà, caparbietà e lungimiranza si impegnano per una produzione sempre più sostenibile e di qualità.

L’Europa chiede più bio, ma per farlo servono i semi giusti, non quelli delle multina-zionali

Secondo la Fao negli ultimi 100 anni, è scomparso il 75% delle specie vegetali impiegate in agricoltura. Tra le principali cause della perdita di biodiversità troviamo l’uso di poche varietà vegetali che vengono coltivate su terreni sempre più estesi. L’altro elemento su cui riflettere è che il 60% dei semi venduti in tutto il mondo proviene da quattro aziende, che a loro volta producono pesticidi e concimi impiegati nell’agricoltura industrializzata. Questo modello ha dimostrato di avere effetti negativi sulla biodiversità agricola, ma anche su ambiente e salute umana. Parte delle sementi utilizzate non è “riproducibile” oppure l’autoriproduzione a cura dell’agricoltore non risulta interessante perché instabile e poco produttiva.

La strategia europea From farm to fork  prevede che entro il 2030 i campi biologici arrivino al 25% della superficie agricola del continente. Si tratta di un obiettivo importante e ambizioso visto che il bio copre oggi l’8% delle terre agricole europee (in Italia questo dato sale al 15,8%). Per moltiplicare i campi bio così come indica il Green Deal, occorre partire da semi adatti. Semi che siano in grado di produrre piante con radici ramificate e profonde, in grado di cercare il nutrimento, che non viene fornito in forma immediata dai fertilizzanti chimici sparsi sul terreno. L’agricoltura biologica necessita di varietà ‘locali’, legate cioè alle caratteristiche delle aree di produzione, oppure selezionate in modo specifico per una pratica agroecologica, in grado di svilupparsi pienamente in campi dove la chimica di sintesi non viene impiegata. Si tratta di semi che – ad esempio – sono in grado di dare vita a piante di frumento alte, in grado di competere con le erbe infestanti. O che siano in grado di far fronte, anche per diversità e varietà, ai cambiamenti climatici.

Di questo si è parlato nel web talk “Dal seme alla tavola/From Seed to Fork” che NaturaSì e Slow Food Italia, in collaborazione con Fondazione Seminare il Futuro, hanno organizzato all’interno di Terra Madre, in occasione della Giornata mondiale della Terra. “Il biologico vive di biodiversità”, ha detto Fausto Jori di NaturaSì. “L’agricoltura così come è stata concepita a partire dalla metà del secolo scorso punta sulla semplificazione: gli stessi semi, e, quindi, le stesse piante alimentari, dalla Finlandia al Vietnam al Cile. Questo è possibile attraverso l’uso di pesticidi e fertilizzanti che rendono omogeneo l’ambiente di crescita ma che allo stesso tempo sono causa dell’inquinamento dell’acqua, del suolo, dell’aria. Una diversa agricoltura parte anche dal seme giusto e questo richiede un lavoro lungo e puntuale per selezionare i semi del futuro”.

“I semi devono essere considerati un bene comune, perché sono alla base della nostra vita, essenziali alla sopravvivenza del Pianeta. E mettere la nostra esistenza in mano a poche aziende non è giusto oltre che pericoloso”, ha commentato Carlo Petrini di Slow Food. “Non va trascurato, poi, che le grandi aziende che hanno il controllo delle sementi sono leader nella produzione di pesticidi e diserbanti. Quindi, c’è un intreccio tra chi produce semi e input chimici per il terreno. Tutti noi abbiamo un dovere preciso nei confronti dei semi: proteggerli, liberarli e condividerli per tutelare il patrimonio di diversità biologica e culturale che rappresentano, a prescindere dalla convenienza economica. Il percorso ha un punto di partenza: i contadini e la terra. Lo scopo è dare la possibilità agli agricoltori di produrre in modo sostenibile semi sani e in grado di rappresentare territori e culture”.

Pesticidi non autorizzati in pompelmi dalla Turchia e glutine in cuoricini di cioccolato: ritirati dal mercato europeo 85 prodotti

Nella settimana n°16 del 2021 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 85 (5 quelle inviate dal Ministero della salute italiano).

L’elenco dei prodotti distribuiti nel nostro Paese oggetto di allerta comprende sei casi: residui di pesticidi non autorizzati (clorpirifos e clorpirifos metile) in pompelmi rosa dalla Turchia; sostanza non autorizzata (ossido di etilene) in farina di guar dall’India; sostanza non autorizzata (ossido di etilene) in Psyllium presente nell’integratore alimentare HerbaClean e nell’alimento a fini medici speciali BariNutrics NutriTotal Vanille dagli Stati Uniti, con materia prima dall’India; presenza di glutine in cuoricini di cioccolato croccanti (foto sopra), vegani, biologici e dichiarati senza glutine, provenienti dalla Germania (marca: Biovegan; in confezione da 35 grammi; Numeri di lotto: 190091001 (tmc: 31.10.2021), 190109101 (tmc: 30.11.2021), 190124301 (tmc: 31.01.2022), 200017001 (tmc: 28.02.2022), 200041001 (tmc: 30.04.2022), 200054901 (tmc: 31.05.2022)); presenza non dichiarata di allergeni (soia e grano) in insalata di alghe congelate, dalla Cina; scatola di semi di soia etichettata in modo errato come farro, dall’Ungheria, etichettata in Francia. Nella lista delle informative sui prodotti diffusi nel nostro Paese che non implicano un intervento urgente troviamo: numero troppo alto di Escherichia coli in mitili (Mytilus galloprovincialis) dall’Italia; Salmonella enterica (ser. Enteritidis) in parti di pollo refrigerate dalla Polonia; mercurio in pesce spada intero e refrigerato dalla Spagna.

Tra i lotti respinti alle frontiere od oggetto di informazione, l’Italia segnala aflatossine (B1) in arachidi dell’Egitto; tossina di Shiga, prodotta dal gruppo Escherichia coli, in carne di agnello refrigerata dalla Nuova Zelanda.

Questa settimana tra le esportazioni italiane in altri Paesi che sono state ritirate dal mercato la Spagna segnala la presenza di Salmonella in murice (Bolinus Brandaris) spinoso, vivo.

Recovery plan, per l’agricoltura 3,9 mld in risorse idriche e contratti di filiera

Quasi 4 miliardi di euro (3,88) per cambiare volto all'agricoltura italiana rafforzandone la competitività, accompagnandone l'evoluzione sul piano energetico, rendendola più sostenibile sul piano produttivo e più forte sul piano infrastrutturale per fronteggiare i cambiamenti climatici e il dissesto idrogeologico. È quanto è previsto dal Piano nazionale di rilancio e resilienza in tema di agroalimentare. I principali “assi” agroalimentari riguardano i contratti di filiera e di distretto (strumento col quale si punta a rafforzare alcune specifiche produzioni e a riequilibrare i rapporti tra l'anello produttivo e quello commerciale) per i quali è previsto un budget di 833,3 milioni di euro. Un'analoga somma (833,3 milioni) è messa a disposizione del Piano per la logistica come anche della realizzazione del “parco agrisolare” mentre un plafond di 500 milioni di euro sarà destinato alle innovazioni nella meccanizzazione e negli impianti di molitura. Infine, sempre nell'ottica dei principali assi di intervento, 880 milioni di euro saranno destinati gli investimenti per l'adeguamento delle infrastrutture irrigue per migliorare la gestione delle risorse idriche. Va sottolineato che di questa somma circa 360 milioni riguarderanno progetti già in corso mentre oltre 500 progetti nuovi. Gli obiettivi, dichiarati, degli investimenti sono quelli di incrementare la competitività del sistema alimentare il tutto nel quadro della sua sostenibilità. E per questo una parte rilevante delle risorse è dedicata a incentivare la produzione energetica da fonti rinnovabili, la riduzione delle emissioni e in genere il miglioramento della sostenibilità dei processi produttivi. Tra gli altri obiettivi del piano quelli di «delineare gli indirizzi strategici per gli strumenti rivolti alla transizione ecologica e digitale», «individuare risorse a integrazione di quelle della Politica agricola comune in graduale riduzione» e poi «potenziare imprese e filiere, rafforzare la promozione internazionale, incentivare i sistemi di tracciabilità e trasparenza sull'origine degli alimenti e tutelare le risorse non rinnovabili sviluppando le agroenergie». Centrale nella strategia di sviluppo dell'agroalimentare prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza saranno i contratti di filiera. Uno strumento che potrà contare su un budget di 833,3 milioni di euro e al quale sono affidati compiti come il rafforzamento della competitività delle imprese agroalimentari e una migliore distribuzione del valore lungo le diverse fasi della catena produttiva; la riduzione dell'uso di fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi ma anche il potenziamento dell'agricoltura biologica. I settori di intervento individuati sono cinque: agroalimentare, forestale, pesca, acquacoltura e florovivaistico. Gli interventi saranno effettuati mediante contributi in conto capitale e finanziamenti agevolati che prevederanno un 50% di quota di cofinanziamento privato con intervento della Cassa Depositi e Prestiti.

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