Skip to main content

Olio extra vergine di oliva: NutriScore e Nutrinform Battery a confronto

In occasione di Spazio Nutrizione, convegno di riferimento in Italia per la comunità medico-nutrizionista che si è da poco concluso a Milano, Istituto Nutrizionale Carapelli ha organizzato una tavola rotonda sul tema: “Etichettatura nutrizionale FOP – Stato dell’arte e il caso paradigmatico dell’olio extra vergine di oliva”. L’incontro ha proposto un ampio dibattito sulle criticità nutrizionali e scientifiche del Nutriscore  rispetto all’obiettivo prefissato a livello europeo di prevenzione dell’obesità e delle patologie ad essa correlate, evidenziando la necessità di promuovere un sistema alternativo di etichettatura nutrizionale capace di veicolare una corretta educazione alimentare. Ad esempio, il sistema Nutrinform Battery.

“La fondazione ONLUS – Istituto Nutrizionale Carapelli segue con grande interesse questo tema e ha considerato questo convegno come la sede più idonea per poterne parlare da un’angolazione medico-scientifica” – ha sottolineato il presidente Roberto Sassoni.

Michele Carruba, presidente del comitato scientifico dell’Istituto Nutrizionale Carapelli, ha aperto il dibattito spiegando criticità ed incompatibilità con i dettami di una corretta alimentazione del NutriScore: su tutte, la demonizzazione dei grassi nobili come l’olio di oliva. L’Istituto ha una visione aperta anche ad altre proposte di sistema di etichettatura nutrizionale. Fra queste quella del Nutrinform Battery, che potrebbe essere più opportuna per gli obiettivi prefissi di prevenzione dell’obesità e malattie ad esse correlate. “Miriamo ad un sistema che possa essere veramente efficace nella comunicazione rivolta al consumatore, in linea con l’obiettivo della Commissione Europea, e che possa essere armonizzato a livello globale” – ha dichiarato Carruba.

Nel dibattito si sono messi a confronto i due sistemi cercando di analizzarne le linee guida e le differenze. Il NutriScore, ad esempio, può essere considerato un “sistema a semaforo” che assegna ad ogni alimento un colore (Verde=Ok, Rosso=Stop) in base al livello di grassi, zuccheri e sale, calcolati su una base di riferimento di 100 grammi di prodotto. Proprio per questo, penalizza molti degli ingredienti della dieta mediterranea, compreso l’olio di oliva identificandolo come “grasso” senza considerarne la reale dose di consumo giornaliero, il lato nutrizionale e i benefici ad esso correlati.

Dall’altra parte, il Nutrinform Battery è un sistema così chiamato “a batteria” che prende in considerazione l’incidenza degli alimenti all’interno della dieta e non li valuta singolarmente. L’etichetta, quindi, è pensata come una “batteria” e indica tutti i valori degli alimenti relativamente ad una singola porzione consumata. Ad oggi, “come alternativa al NutriScore, l’Italia sostiene il nuovo sistema, quello del Nutrinform Battery, promosso anche dal Ministero della Salute oltre che approvato o fatto proprio da diverse società scientifiche nazionali”- spiega Enzo Nisoli del Centro Studi Ricerche sull’Obesità, Università degli Studi di Milano.

 

Uno degli obiettivi di Istituto Nutrizionale Carapelli consiste del resto nel promuovere e diffondere l’educazione alimentare, presso tutti i target, anche quelli più giovani, per poter aiutare i consumatori a comprendere il vero significato delle informazioni apportate sulle etichette e sviluppare una vera e propria cultura alimentare.

Su questo tema è intervenuto con il suo contributo anche Francesco Visioli – membro del comitato scientifico dell’Istituto Nutrizionale Carapelli e docente all’Università di Padova: “Le etichette nutrizionali hanno come scopo quello di orientare il consumatore verso scelte alimentari più salutari. Gli algoritmi che vanno per la maggiore, purtroppo, non tengono in considerazione i comprovati effetti sulla salute dell’olio d’oliva, un grasso studiato molto più approfonditamente degli altri. Il giudizio sostanzialmente poco positivo che le principali etichette nutrizionali danno all’olio d’oliva è poco rispettoso della vasta letteratura scientifica che prova come questo grasso abbia effetti positivi sulla salute”.

Tra i relatori anche Maria Lisa Clodoveo – membro del comitato INC e docente dell’Università di Bari – che ha introdotto ed esposto una seconda e valida alternativa al NutriScore ovvero il Med-Index, un sistema di etichettatura dei prodotti alimentari per promuovere l’adesione alla dieta mediterranea incoraggiando i produttori a realizzare prodotti alimentari più sani e sostenibili. “La dieta è uno stile di vita – ha dichiarato la docente – e ci deve essere sempre un equilibrio tra quantità e qualità dei cibi consumati”.

Agostino Macrì – Unione Nazionale Consumatori – ha infine proposto una prospettiva non solo medica: “In Italia, oggi, esistono 20 diverse organizzazioni di consumatori e non c’è ancora un’uniformità di vedute. Uno dei problemi principali è legato alla lettura dell’etichetta perché manca una cultura di base, oramai fondamentale”. In particolare, Macrì ha sottolineato come il sistema del Nutrinform Battery, sostenuto dall’Italia, possa essere un’alternativa valida al NutriScore e aiutare, con il suo sistema che considera le singole porzioni, tutti i consumatori ad attuare scelte più consapevoli.    

I RITARDANTI DI FIAMMA POSSONO ESSERE ASSORBITI NELLE PIANTE

Secondo uno studio recentemente pubblicato nella prestigiosa rivista «Chemosphere», dal titolo Maize plant (Zea mays) uptake of organophosphorus and novel brominated flame retardants from hydroponic cultures, condotto da ricercatori dell’Università di Padova  e dell’Università Ca’ Foscari Venezia, è stata confermata la potenzialità dei ritardanti di fiamma - additivi chimici applicati su un'ampia gamma di materiali per aumentare la resistenza al fuoco - di essere accumulati nelle piante e dunque di entrare nella catena alimentare umana con conseguenti effetti sulla salute.

Lo studio ha indagato sperimentalmente il potenziale accumulo nella catena alimentare dei ritardanti di fiamma (FR). Si tratta di additivi chimici applicati su un'ampia gamma di materiali (tessuti, schiume, dispositivi elettrici ed elettronici, legno, prodotti da costruzione e isolanti) per aumentare la resistenza al fuoco e contribuiscono ad evitare la rapida propagazione delle fiamme.

«Da tempo la letteratura scientifica ha considerato i ritardanti di fiamma come tossici per l'uomo e pericolosi per l’ambiente. La presente attività di ricerca, basata sullo studio di un elevato numero di test sperimentali – spiega il professor Alberto Pivato del Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università di Padova, co-autore dello studio –, ha confermato la potenzialità dei ritardanti di fiamma, anche di ultima generazione, di essere accumulati nelle piante di Mais e dunque di entrare nella catena alimentare umana con conseguenti effetti sulla salute».

«Il concetto di bioaccumulo, il cui ruolo primario viene messo in evidenza nel nostro studio, - spiega il professor Rossano Piazza del Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica dell’Università Ca’ Foscari Venezia, co-autore dello studio - mette in evidenza la necessità di una piena implementazione dei principi dell’economia circolare, al fine di ripensare al fine vita di tutti gli additivi chimici utilizzati in prodotti di così largo consumo. Molti nuovi composti, infatti, a causa della loro elevata stabilità chimica, finiscono nell’ambiente attraverso diverse vie (dilavamento, deposizione atmosferica, rilascio da rifiuti, ecc…) e si ripartiscono nei vari comparti ambientali fino ad arrivare negli organismi viventi attraverso complessi meccanismi di bioaccumulo e biomagnificazione. Questi studi risultano di fondamentale interesse per la tutela dell'ambiente e della salute pubblica».

 

Acquisti online e autoproduzione: l’eredità del lockdown nelle tendenze dei consumatori

Sempre più tecnologici, ma al tempo stesso attenti all’ambiente e al risparmio. È il ritratto dei consumatori italiani che emerge da un’indagine qualitativa realizzata dalla piattaforma di cataloghi digitali Tiendeo. Basandosi sui dati di ricerche interne e sul geotracking (strumento per valutare l’efficacia delle campagne digitali), l’indagine ha definito sette diversi profili di acquisto. Ci sono i consumatori oculati, persone pratiche che non amano il superfluo, badano al risparmio e comprano soprattutto al discount; i comparatori omnichannel, che consultano siti e volantini a caccia dell’offerta migliore e si spostano dall’e-commerce agli outlet a seconda della convenienza e delle offerte; oppure i virtuali, che non si muovono da casa, comprano online e si fanno recapitare la spesa. L’indagine non riguarda solamente il comparto food e registra anche una folta presenza di fashion victim, attenti alle ultime tendenze e di compratori compulsivi, che acquistano per sentirsi bene. Per quanto riguarda invece le spese alimentari emergono poi i Km zero, attenti a scegliere e prodotti a basso impatto, con filiera certificata e imballaggi sostenibili e gli old school, tradizionalisti che non comprerebbero mai online e preferiscono mercati rionali e negozi di prossimità.

“Dati di questo tipo possono servire a elaborare strategie efficaci per agganciare la diverse tipologie di consumatori – spiega il sociologo Domenico Secondulfo, responsabile dell’Osservatorio sui consumi delle famiglie del dipartimento di Scienze umane dell’Università degli studi di Verona –”. Secondulfo ha individuato a sua volta tre tendenze che si sono sviluppate durante la pandemia, ma che sembrano destinate a rimanere “anche se forse in forme meno estreme”. Tra queste si conferma l’abitudine ad acquistare online segnalata anche da Tiendeo. “In crescita gli acquisti digitali nel settore alimentare, dove c’erano maggiori resistenze, vinte dalla comodità di ricevere la spesa a casa – osserva Secondulfo –”.

Appare destinata a restare anche la preparazione domestica degli alimenti, specialmente per quanto riguarda il pane e i prodotti da forno, anche se il ritorno in ufficio limita il tempo disponibile. “Spesso queste ricette sono oggetto di condivisione, di scambio tra amici e vicini, con effetti positivi sul piano relazionale – chiarisce il sociologo –. Se il lockdown ha portato qualcosa di positivo, infatti, è una maggiore attenzione agli altri, senza contare che la produzione domestica è collegata al salutismo e all’attenzione alla qualità di ciò che si mangia”. L’ultimo tratto in crescita è la volontà di evitare, ove possibile, lo spreco. “Si tratta di un trend già presente – spiega il sociologo – che si è allargato in modo trasversale nei diversi comparti. Per quanto riguarda gli alimentari, questo sta facendo riemergere il concetto antico della sacralità del cibo, per esempio del pane, che ha un particolare valore simbolico”.

Secondo Tiendeo, tra i comportamenti in aumento ci sono quelli dei profili comparatore omnichannel e virtuale. “Queste tipologie di consumatori – sottolinea Jaume Molins, country manager di Tiendeo Italia – hanno fatto un grande salto in avanti con la pandemia. Sono sempre di più i consumatori che, prima di un acquisto, cercano in rete la soluzione più vantaggiosa, saltando senza difficoltà dall’acquisto online a quello presso il punto vendita. Così come sono in aumento coloro che consultano il proprio smartphone nel punto vendita stesso, al momento dell’acquisto”. Un’evoluzione cui il mondo del commercio cerca di rispondere. “Per i piccoli commercianti, però, è difficile fare fronte alle iniziative della grande distribuzione – osserva Secondulfo –”. Qualcuno comunque ci prova. “I retailer grandi e piccoli hanno provveduto a una digitalizzazione molto più rapida e consistente di quanto si sarebbe potuto immaginare – sottolinea Molins –. In meno di un anno è stato fatto un salto di oltre un decennio. Basti pensare a tutte le piccole aziende che durante i mesi di chiusura si sono reinventate con servizi di consegna a domicilio, anche con il semplice ausilio di whatsapp, e che poco a poco hanno implementato sistemi di ordini online e magari anche campagne pubblicitarie sui social”.

Resta poi stabile il profilo del consumatore oculato. “Dall’inizio del lockdown la ricerca di promo e offerte è una costante – sottolinea Molins –”. “In genere – aggiunge Secondulfo –, si tratta di consumatori di livello economico medio-basso, mentre per esempio i consumatori old school, quantitativamente minoritari, hanno tendenzialmente un livello socioeconomico medio-alto”. Importante, infine, la presenza di consumatori km zero”. La sensibilità riguardo all’ambiente e alla sostenibilità, alla qualità di ciò che si consuma, la tracciabilità e la filiera controllata acquistano sempre più importanza per i consumatori – conclude Molins –”. A conferma di ciò, un dato emerso dal Tiendeo summit mostra che il 20% del fatturato offline è trainato proprio da quei prodotti capaci di comunicare in modo chiaro principi di sostenibilità.

“SBLOCCATI 350 MILIONI DI EURO PER I CONTRATTI DI FILIERA E DISTRETTI”

“Attraverso lo sblocco di 350 milioni di euro, previsti dal Fondo complementare del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), riusciamo a finanziare tutti i progetti relativi ai contratti di filiera e distrettuali già candidati nell’ambito dell’ultimo bando ministeriale, chiusosi lo scorso 30 settembre. I programmi di investimento, infatti, sono ritenuti già in linea con le indicazioni comunitarie dal punto di vista della sostenibilità ambientale”. Lo dichiara il deputato Giuseppe L’Abbate, esponente M5S in commissione Agricoltura, alla luce del decreto direttoriale del Ministero delle Politiche Agricole.

“Le somme saranno destinate a coloro che hanno ottenuto un contributo inferiore al limite massimo dell’agevolazione e contribuiranno allo scorrimento dell'attuale graduatoria - prosegue -. Nel 2022, poi, sarà emanato un nuovo bando in base ai criteri del PNRR che nel fondo complementare vede stanziare 1,2 miliardi di euro per i settori agroalimentare, della pesca e dell’acquacoltura, della silvicoltura, della floricoltura e del vivaismo".

"L’obiettivo - aggiunge L'Abbate - è promuovere oltre alla sostenibilità ambientale, il potenziamento delle relazioni intersettoriali lungo le catene di produzione, trasformazione e commercializzazione, attraverso l’aggregazione dei produttori e la creazione di responsabilità solidale delle imprese della filiera migliorando la posizione degli agricoltori nella catena del valore e la partecipazione degli operatori, anche dislocati in aree rurali o marginali, ai processi di aggregazione, contribuendo a contrastare lo spopolamento delle aree rurali”.

“Quello dei contratti di filiera e di distretto è uno strumento efficace e necessario per il futuro dell’agroalimentare italiano che permette di creare valore aggiunto e aumentare la redditività” conclude.

Richiamato formaggio da taglio per E. coli STEC. Segnalate insalate per frammenti di vetro

Il ministero della Salute ha pubblicato l’avviso di richiamo di un lotto di formaggio da taglio ‘Natur’ Schnittkäse a marchio Hof zu Fall per la “presenza di Escherichia coli produttori di Shiga-toxin STEC”. Il prodotto interessato è venduto in forme da 2 kg con il numero di lotto 622 03.09.2021 e il termine minimo di conservazione 12/10/2021 (già passato al momento del richiamo, che è datato 13/10/2021).

Il formaggio richiamato è stato prodotto dal Caseificio Hof zu Fall nello stabilimento di St. Valentin 16/1, Siusi allo Sciliar, a Castelrotto, nella provincia autonoma di Bolzano. Il ministero della Salute ha segnalato anche il richiamo di un lotto di insalata canasta e di insalata cappuccia a marchio Biocolombini per la “presenza di corpi estranei (vetro) rinvenuti da un cliente all’interno del prodotto insalata canasta.” Il richiamo dell’insalata cappuccia è stato disposto in via precauzionale vista la vicinanza di coltivazione, anche in assenza di segnalazioni. I prodotti in questione appartengono al lotto di produzione 08/10/2021, e sono stati venduti a grossisti, punti vendita e direttamente ai consumatori presso lo spaccio aziendale.

L’insalata richiamata è stata prodotta da Biocolombini Srl Soc. Agric. nello stabilimento di via Le Prata snc, a Crespina, in provincia di Pisa.

A scopo precauzionale, si raccomanda di non consumare i prodotti appartenenti ai lotti segnalati e restituirli al punto vendita d’acquisto.

L’INARRESTABILE CRESCITA DEI COSTI DELLE MATERIE PRIME

Vorrei soffermarmi su di un tema che – pur essendo un produttore di bevande alcoliche - esula dalle tecniche di vinificazione e distillazione, dalla specificità dei territori, dalla complessità delle leggi che ne regolano la produzione e la commercializzazione, ma che piuttosto sta colpendo indiscriminatamente tutti i settori della manifattura: l'inarrestabile crescita dei costi delle materie prime.

Una situazione di questo genere, nei miei oltre 30 anni da imprenditore, non l'avevo mai vissuta prima d'ora. Certo, ci sono state crisi nella reperibilità e nella gestione del costo di alcuni prodotti, dovute a problemi climatici o a cattive programmazioni di determinati settori, come è stato il caso della penuria di grano duro arrivato a costare il 250% in più a cavallo tra il 2010 e il 2011, ma una carenza generalizzata di materie come la plastica per imballaggi, il cartone, il vetro mi sembra davvero un ulteriore inimmaginabile ostacolo che va ad aggiungersi a quelli iniziati con lo scoppio di questa pandemia.  

Qualche avvisaglia c'era già stata lo scorso anno: nel mio settore si è pagato immediatamente il “dazio” subendo un aumento del costo dell'alcool di più del 100%, materia prima in buona parte dirottata per l'implementazione della produzione di detergenti utili a difendersi dal contagio da Covid 19. Oltre al prezzo vertiginoso, in più occasioni i produttori di bevande alcoliche sono stati costretti a fare i salti mortali per reperirne quantità adeguate. 
Oggi però il tutto si è complicato. Quali possono essere le ragioni di questa improvvisa crisi? Una corsa all'accaparramento vista la ripresa dei consumi?

La perdurante difficoltà della logistica internazionale con i conseguenti ritardi con cui semilavorati e materie prime arrivano in Europa dai paesi asiatici? La speculazione attuata dalle multinazionali che di fatti detengono il controllo delle singole materie prime? Oppure una situazione di isteria collettiva che ci prende ogni giorno?  Più probabilmente un mix di questi complessi fattori che solo tra qualche tempo riusciremo ad analizzare e definire.
Eppure, ecco una notizia positiva: gli studi ci dicono che il business del “beverage packaging” negli anni precedenti la crisi pandemica, 2018 e 2019 ha mosso un giro d’affari pari a 21,4 miliardi di dollari, e che si prevede una crescita aggregata del 2,6% all’anno fino al 2024.  

Positiva, ma solo all’apparenza. A ben vedere infatti non lo è poi tanto: oggi la distribuzione moderna non accetta nessun confronto con i produttori che rivendicano la necessità di ricalibrare le quotazioni a fronte degli aumenti delle materie prime, e rivendicano orgogliosamente la capacità di mantenere inalterati i prezzi a scaffale. Ma allora, quanto ancora gli imprenditori riusciranno a resistere? Come potranno le nostre Pmi Alimentari sottrarsi a questo abbraccio mortale che le vede prese nel mezzo di due settori, Produttori di materie prime e Distribuzione Moderna che hanno enorme forza contrattuale grazie anche a fatturati miliardari?

 

Pietro Marcato – Presidente Nazionale Confimi Industria Alimentare

Cookies user preferences
We use cookies to ensure you to get the best experience on our website. If you decline the use of cookies, this website may not function as expected.
Accept all
Decline all
Analytics
Tools used to analyze the data to measure the effectiveness of a website and to understand how it works.
Google Analytics
Accept
Decline
Save
By visiting our website you agree that we are using cookies to ensure you to get the best experience.Accept allDecline allCustomize
Cookies options