In provincia di Modena sorge il primo parco a tema dedicato ad un prodotto IGP: oltre 40.000 mq nella campagna tra Carpi e Correggio, dove si snoda un percorso nel verde che segue la vita dell’aceto balsamico, dall’uva alla sua ampolla, con una sala di invecchiamento per oltre 8 milioni di litri di aceto.
Sono oltre 5mila i prodotti agroalimentari tradizionali censiti dal Ministero dell’Agricoltura. Un tesoro alimentare ma anche culturale che ogni anno milioni di turisti scoprono e apprezzano e che permette all’Italia di detenere l’invidiabile record mondiale per varietà e ampiezza del patrimonio agroalimentare. Lo studio svolto dall’agenzia di comunicazione Klaus Davi & Co., realizzato su 1.820 turisti, ha focalizzato i dieci prodotti italiani più amati dai turisti stranieri arrivati quest’anno nel Belpaese.
DALLA ‘NDUJA ALLA PIADINA: I PRODOTTI PIÙ AMATI
Al primo posto si piazzano a pari merito la ‘ndujae il pesto genovese(19%), due prodotti per i quali vanno pazzi soprattutto tedeschi, francesi e spagnoli,
Il governo italiano in carica ha esteso le competenze del ministero dell’agricoltura che un tempo fu. Dicastero che nel corso degli anni ha già esteso il proprio mandato alle politiche alimentari e forestali. Cosa cambia, con l’ulteriore attribuzione di compiti relativi al turismo in Italia, si vedrà. È presto per esprimere giudizi, e la speranza rimane alta.
L’Italia del resto raccoglie un crescente interesse dei turisti globali quale meta d’interesse storico e archeologico, paesaggistico e culturale nel senso più ampio. Con attenzione altresì crescente verso la cultura millenaria del cibo, che distingue la nostra popolazione come pochissime altre sul pianeta.
Il Palazzo della Burocrazia – in Roma, via XX Settembre – aveva causato preoccupazione a centinaia di migliaia di imprese alimentari italiane, ad agosto scorso. Mediante un paio di circolariche paventavano l’obbligo di modificare in tempi brevi le etichette di almeno un paio di miliardi di referenze. Le quali avrebbero dovuto aggiornare i riferimenti delle rispettive certificazioni, da parte di enti autorizzati dal MiPAAFT anziché dal MiPAAF.
La paventata modifica, come è evidente, non avrebbe aggiunto alcuna informazione utile si consumatori. I quali già potevano confidare nell’autorevolezza dei certificati bio, DOP e IGP da parte degli organismi e consorzi a tal uopo accreditati presso il ministero. Viceversa – per quanto banale possa apparire ai non addetti e ai burocrati – la semplice aggiunta di una ‘T’ avrebbe comportato oneri insopportabili per le aziende.
Il ministro Gian Maria Centinaio ha però corretto il tiro del Palazzo della Burocrazia. Dopo tempestiva consultazione delle rappresentanze di filiera interessate, il titolare del dicastero ha ordinato la pubblicazione di nuove circolari ove è previsto che la fatidica ‘T’ a margine di ‘MiPAAFT’ potrà venire aggiunta, senza fretta, "alla prima occasione utile".
In termini pratici, allorché le imprese che realizzano prodotti alimentari certificati bio, DOP e IGP si troveranno a rivedere o ristampare le proprie etichette, senza bisogno di destinare al macero alcuna di quelle già a magazzino, potranno provvedere all’aggiornamento richiesto.
Si attende ora che il ministro metta fine alle bizantine diciture ‘Certificato da Organismo di Controllo autorizzato dal Mipaaft‘ o ‘Certificato da Autorità pubblica designata dal Mipaaft’. Diciture che non sono previste dai regolamenti europei – i quali disciplinano in maniera esaustiva le produzioni in esame – e non aggiungono alcun valore a etichette già contrassegnate dai distintivi logoUE.
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha pubblicato la sentenza che dispone che i prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come «latte», «crema di latte o panna», «burro», «formaggio» e «yogurt», che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale. Ciò vale anche nel caso in cui tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del
Si parla spesso di start-up ma forse non per tutti è chiaro cosa si intende con questa denominazione: cerchiamo di fare chiarezza. Il termine start-up (dall’inglese “inizio”) indica l’avvio di una nuova impresa, con tutto ciò che ne comporta a livello organizzativo e strutturale. Si tratta, dunque, di piccole realtà che nascono da sempre più numerosi neo-imprenditori che decidono di investire tempo e denaro per concretizzare la loro idea imprenditoriale.
In Italia continua a far discutere il tema delle chiusure domenicali degli esercizi commerciali, con prese di posizione e spaccature sia tra politica e grande distribuzione sia all’interno del mondo dei retailer. Intanto, un’interessante novità arriva da uno studio pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni. Si tratta di un’analisi delle chiusure, ma soprattutto delle aperture, domenicali negli altri Paesi europei e dei loro effetti sul commercio e sulla distribuzione. A non imporre alcun vincolo alle attività sono ben altri 15 Stati membri su 28: